Incubo ossigeno ad alta quota quando il vetro si rompe in volo

di Giuseppe Braga (direttore della rivista Volare)

Avete decollato? Guardate fuori tranquilli, non si romperà niente, non finirete soffocati nel vuoto, non precipiterete gridando il vostro ultimo terrore: non si staccherà nessun finestrino. Gli aeroplani non sono scatole di pelati, non si «stappano», e i vetri non sono appiccicati con la coccoina. Tutti, costruttori, società di manutenzione, piloti, enti di controllo, ci stanno molto attenti. Questo non vuol dire che un problema non possa verificarsi: però il più delle volte l’allarme è assai più grande del pericolo. L’ultima volta che la cronaca ha segnalato la rottura di un finestrino su un aereo di linea, in Italia, è stato il 21 maggio, quando un A 320 Wind Jet decollato da Catania per Bergamo è tornato indietro dopo che i piloti avevano verificato una leggera crepa sul parabrezza («windshield»). In questo caso, come nel caso dell’A 319 su cui viaggiava il presidente del Consiglio, la precauzione è stata «capillare», in quanto la struttura dei finestrini, anche in presenza di imperfezioni, è studiata per sopportare ben altre crisi e impatti importanti, come le grandinate in quota o i «birdstrike» (impatto con uccelli), due fra i pericoli maggiori.
Come sono fatti? Intanto, i vetri degli aerei sono fatti apposta per incrinarsi, al fine di non cedere: quelli laterali, da cui noi passeggeri guardiamo fuori, sono per lo più in lexan, un una plastica trasparente, in un largo pannello con al centro altri due o tre più sottili separati da strati d’aria; i windshield invece sono più simili a quelli delle auto: più strati di vetro alternati a fogli di materiale plastico con al centro una lamina d’oro che serve come conduttore per il riscaldamento del parabrezza. Sono incastonati nella fusoliera dell’aereo fissati con bulloni, o con sistemi a incastro, in modo da non forare né interrompere le caratteristiche della struttura. Il sistema di riscaldamento interno è importante, anche per mantenere costante l’elasticità dei materiali ed evitare brusche modificazioni o deformazioni: è unico e fisso per i finestrini laterali, doppio, variabile e controllato da un computer per i parabrezza.
Il caso della bolla sull’aereo di Berlusconi può essere dovuto all’avaria dell’impianto di riscaldamento del vetro, con conseguente aumento di temperatura, che provoca l’espansione della camera d’aria tra gli strati. In alcuni casi questa espansione può provocare l’incrinatura o, in casi estremi, il crack dello strato esterno del parabrezza.
Ma nel caso di una rottura importante, quali sono i comportamenti corretti? Il vero pericolo che l’aereo corre è la depressurizzazione, a causa della differenza di pressione tra l’esterno e l’interno del velivolo. Se la cosa vi riguarda ve ne accorgerete perché nella cabina passeggeri scenderanno immediatamente le maschere per l’ossigeno. La depressurizzazione ad alta quota può causare danni strutturali (in caso del cedimento di un finestrino laterale) ma soprattutto la perdita di coscienza dell’equipaggio, che ha pochi secondi per indossare le maschere prima di cedere all’ipossia. Quindi, la manovra corretta è di scendere rapidamente di quota fino a riequilibrare il differenziale di pressione. Nel caso in cui la condensa non garantisca una visibilità sufficiente e il sistema di «autoland» (atterraggio automatico) non sia disponibile, la depressurizzazione andrà comandata fino a consentire l’apertura del finestrino a sinistra del pilota, che avrà comunque a che fare con un notevole aumento del rumore e quindi dovrà fare più attenzione agli avvertimenti luminosi.
D’altra parte, i vetri degli aerei, anche se sono costruiti con tolleranze molto più rigide e requisiti di più alto livello che non quelli delle auto (materiali, forme, procedure di fabbricazione devono essere appositamente certificati perché il pezzo possa essere installato su un velivolo) si comportano pur sempre da vetri: nel 2007, in un solo pomeriggio, all’aeroporto di Denver si sono verificate ben ventidue rotture su quattordici velivoli tutti diversi, probabilmente a causa del brusco cambiamento delle condizioni climatiche, un aumento della pressione unito alla diminuzione della temperatura in presenza di vento.
E a dire il vero, neppure gli uomini sono esenti da errori catastrofici: nel 1990, sul volo 5390 British Airways Birmingham-Malaga, durante la salita il windshield ha ceduto di colpo a causa di una installazione sbagliata: il comandante, Tim Lancaster, è stato risucchiato fuori ed è rimasto «appeso» all’esterno fino alla vita.

Il copilota Nigel Ogden è riuscito a controllare l’aeroplano e ad assicurare il pilota stringendo e tenendo a mano la cintura di sicurezza del suo comandante, fino all’atterraggio di emergenza, che si è svolto senza ulteriori danni.
*Direttore della rivista Volare

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