Così D'Alema affila il coltello contro Pier Luigi

Se l'aspirante premier di Bettola dice: mai con il Pdl. Il piano baffino prevede un'intesa strategica per tagliare fuori Grillo e fare le riforme

Così D'Alema affila il coltello contro Pier Luigi

È stato un momento, magari solo un attimo, ma quando lui con i soliti baffetti arguti ha cominciato a parlare davanti alla direzione del Pd tutti più o meno hanno sentito nella mente la voce di Lucio Battisti: «Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?». Rieccolo Massimo D'Alema, nella migliore interpretazione fanfaniana, come il vecchio leader Dc anche lui con il crisma del cavallo di razza. Rottamato, fuori dal Parlamento, normale cittadino peggio di un grillino, ma sempre al centro del gioco, come quei calciatori che s'inventano un futuro da centromediani metodisti per continuare a smistare palloni, tessere intelligenti geometrie e quando serve spaccare le caviglie, senza fare troppo caso se il malcapitato è un avversario o, ancora meglio, un compagno di squadra. Questo retro reality piddino, a porte aperte e in diretta tv, tanto per far capire ai cinque stelle che anche i morti che parlano hanno letto McLuhan, qualcosa ha chiarito: per esempio che Bersani e D'Alema sono ormai due partiti diversi. Il segretario ha presentato il piano A, quello ufficiale, quasi un'illusione. Bersani premier con i suoi otto punti che va a cercare fortuna e fiducia in Parlamento, con lo scetticismo di tutti e soprattutto del Quirinale.

Qualcosa che assomiglia all'ultimo giro di valzer prima di lasciare il grande ballo. D'Alema lo ha guardato in faccia con la pietà dei cinici. Balla pure, balla balla ballerino, ma quando hai finito di ballare fatti da parte, che qui c'è da mettere su un governo. E poi gli ha messo sotto il naso il piano B, quello senza illusioni. Se l'aspirante premier di Bettola dice: mai con il Pdl. Il piano baffino prevede un'intesa strategica per tagliare fuori Grillo e fare le riforme. Solo che c'è un ostacolo. È il grande ostacolo al piano B: Berlusconi. Quindi bisogna aspettare che il Cavaliere finisca fuori dal gioco, confidando nell'azione delle procure, e allearsi con quello che resta. Niente più Cav e niente più imbarazzi. Ma con il Cav messo in fuorigioco da vicende extrapolitiche il Pdl non farebbe barricate? D'Alema è convinto di no, con loro si può trattare, basta trovare gli argomenti giusti. E il Pd? Basta con certi tabù. «Liberiamoci dal complesso e dalla malattia psicologica dell'inciucio».

Per farlo capire si gioca come ipse dixit la carta Gramsci. «La paura dei compromessi - diceva lui - è una manifestazione di subalternità culturale». Quello che D'Alema dice al suo partito, e rimprovera a Bersani, è di farsi condizionare da questi nuovi luoghi comuni che ormai fanno la voce grossa in politica. È la rabbia verso Grillo, quel fastidio che ancora prova quando sente parlare Vendola, l'idea di aver perso il titolo da onorevole e la rottura di scatole di quelli che si lamentano per le sue interviste sul Corsera. «Io mi sono autoliquidato, ma non ho l'impressione che il ceto politico che avanza venga percepito come molto nuovo nel Paese». D'Alema rivendica la serietà del realismo.

La destra esiste - dice - e bisogna farci i conti. D'Alema in questa testardaggine è zemaniano: da vent'anni rivendica lo stesso schema. La parola d'ordine è sempre governissimo. E se il problema è Berlusconi soprattutto questa volta ci penseranno le procure.

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