La Coldiretti protesta e i ministri si mettono in coda
7 Dicembre 2013 - 15:18Nunzia De Girolamo, il nostro ministro dell’Agricoltura, si è presentata al Brennero esibendo il giubbotto della Coldiretti. Nel giorno in cui tutti sono Mandela, converrebbe spiegare al ministro dell’Agricoltura che non tutti sono Coldiretti

Che cosa sarebbe successo se il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, si fosse presentato davanti a una fabbrica della Fiat durante i giorni caldi del contratto, indossando una bella felpa rossa della Fiom (idea made in Lapo)? O pensate al ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, partecipare a un sit in con un cappellino della Cgil? Sarebbe successo, e giustamente, un finimondo. Eppure Nunzia De Girolamo, il nostro ministro dell'Agricoltura, si è presentata al Brennero esibendo il giubbotto della Coldiretti. Nel giorno in cui tutti sono Mandela, converrebbe spiegare al ministro dell'Agricoltura che non tutti sono Coldiretti. L'organizzazione dei coltivatori diretti è solo una delle parti in una vicenda che è tutt'altro che chiara. Ieri Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha scritto: «L'iniziativa di portare in segno di protesta alcuni maiali davanti a piazza Montecitorio, come ha fatto ieri Coldiretti, non può essere assolutamente condivisa. Se quella immagine dovesse essere ripresa da qualche giornale o televisione in giro per il mondo sappiamo chi dovremmo ringraziare dell'ulteriore gratuito discredito gettato sulle istituzioni del Paese». Ci sono due piani in questa vicenda. Uno di principio e l'altro di opportunità. Quello di principio riguarda la sacrosanta battaglia sul «made in». E qui si scontrano posizioni contrapposte: c'è chi vorrebbe il «made in» al 100 per cento sull'intera filiera. E chi più realisticamente ritiene che non avendo materie prime a sufficienza, la trasformazione e gran parte della produzione fatta in Italia siano sufficienti. Potremmo parlarne per ore. Ogni comparto dell'agroalimentare inoltre fa storia a sé. I vini francesi venivano fatti con i tagli pugliesi o l'olio sounding toscano con quello comprato ad Andria. Insomma non diciamo che la questione sia di poco conto e che non ci siano ragioni reciproche, ma affermiamo che con le pagliacciate in piazza o atteggiamenti talebani si risolve poco.
A proposito, la Nutella con quale materie prime si fa e la pasta Barilla quale grano usa? Siamo davvero certi di voler loro togliere l'inconfondibile marchio tricolore per il fatto che usino materie prime importate? E ancora, è davvero italiano, per i nostri talebani, un salume fatto da un suino comprato all'estero, cresciuto in Italia e alimentato (come avviene per la stragrande maggioranza dei casi) con mangimi Ogm di provenienza straniera? Non facciamo le verginelle, la questione alimentare e del «made in» è molto complicata, ma è molto semplice capire che dietro di essa si muove un grande serbatoio di voti che si chiama Coldiretti. Una organizzazione sindacale ben organizzata, con una straordinaria capacità comunicativa e molto abile a difendere i suoi legittimi interessi. In pochi si sono resi conto che durante il passaggio della finanziaria al Senato è stato provato un blitz bipartisan per rifinanziare la Federconsorzi per la bellezza di 400 milioni di euro. Il subemendamento è partito dal giro dalemiano e poi è trasmigrato in quello dell'attuale ministro dell'Agricoltura. Il rapporto tra Coldiretti e una parte variegata del centrodestra non deve stupire. La De Girolamo ha ereditato una situazione già presente da tempo in quel ministero e inaugurata dalla gestione Alemanno. Ma ritorniamo alla Federconsorzi. I fenomeni si erano inventati una leggina che avrebbe permesso di rivitalizzare finanziariamente quei baracconi locali che si chiamano consorzi agrari e che per la gran parte sono falliti o sotto commissariamento (in alcuni casi trentennale). Ma che hanno una particolarità: sono praticamente tutti gestiti da uomini della Coldiretti. Ovviamente in condivisione con le minoranze rappresentate dalle altre sigle del mondo agricolo. Il colpo è fallito grazie a un'altra intesa bipartisan (Pd non dalemiano e Forza Italia) che non riusciva a capire come si potessero dare quattrini (o titoli di Stato, si era alla fine ipotizzato) a un carrozzone che semmai andrebbe venduto, e nel contempo tassare capannoni e campi (anche se solo per gli incolti). Ecco, la morale di questa zuppa è molto semplice. È chiaro ed evidente a tutti che indossare una casacca, oltre a quella lucida del partito a cui si appartiene, non sia elegante dal punto di vista del galateo istituzionale. Ma non ci scandalizziamo e conviene non fare troppo i moralisti. Quello che invece scopriamo è come Coldiretti oggi (e a buona ragione vista la sua forza sul territorio) sia uno degli interlocutori politici più interessanti, sul cui carro tanti cercano di saltare. O sono già saltati.
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