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Da dj a ministro della Giustizia: il percorso del grillino Alfonso Bonafede

Dieci anni da deputato e tre da Guardasigilli: tra strafalcioni e sbagli clamorosi, l'ex parlamentare ha impiegato poco tempo per trovarsi una nuova sistemazione istituzionale

Da dj a ministro della Giustizia: il percorso del grillino Alfonso Bonafede

Gaffe, errori, giustizialismo: Alfonso Bonafede ha incarnato l'anima più "irrequieta" del Movimento Cinque Stelle. Anche perché l'ex ministro della Giustizia è stato tra coloro che hanno creduto fin dal principio al progetto grillino. Capodelegazione del M5S nel governo da quando, nel gennaio 2020, Luigi Di Maio aveva lasciato la guida del Movimento, Bonafese è soprattutto l'uomo che ha portato Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. "L'avvocato del popolo", infatti, è l'ex professore di diritto privato dell'ex deputato all'Università di Firenze. Ed è proprio nel capoluogo toscano che il giovane avvocato civilista, sposato sin dall'inizio degli anni 2000 con una dei soci del suo studio, Valeria Pegazzano Ferrando, muove i suoi primi passi in politica come militante dei meet-up fiorentini. Ma, dopo quasi dieci anni di Parlamento, che fine ha fatto Alfonso Bonafede?

I primi passi in politica

Nato il 2 luglio 1976 a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani - dov'è cresciuto - Bonafede si trasferisce nel 1995 a Firenze, dove vive tutt'oggi e svolge la professione di avvocato civilista. All'età di 19 anni interrompe la carriera da vocalist nelle discoteche siciliane (si faceva chiamare Dj Foffo) e in Toscana ci va per frequentare la facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Firenze, dove si laurea con 105/110. Come anticipato, in quel periodo è anche assistente a titolo gratuito di Giuseppe Conte che allora aveva la cattedra di ordinario di diritto privato. Ino ogni caso, nel 2006, consegue il dottorato di ricerca presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pisa.

Nel 2009 - l'anno della vittoria di Matteo Renzi - anche il 36enne Bonafede corre per la carica di primo cittadino di Firenze, ottenendo appena l'1,8% dei voti. Un bottino assai misero per l'ex deejay, che non si perde d'animo e, in vista delle Politiche 2013, partecipa alle "parlamentarie" grilline risultando, con 227 voti su 1.300, il più votato della Toscana. Una volta eletto alla Camera, diventa vicepresidente della commissione Giustizia ed è promotore di una legge sulla class action, nonché primo firmatario di una proposta di legge sul divorzio breve che confluirà nella norma approvata nel 2015. In poco tempo scala le vette dei pentastellati entrando prima a far parte del gruppo di coordinamento dei comuni amministrati dai pentastellati e, poi, formando insieme a Riccardo Fraccaro la coppia che avrebbe dovuto supportare il sindaco di Roma, Virginia Raggi, dopo la fallimentare esperienza del "mini-direttorio".

Le gaffe da Guardasigilli

Alle politiche del 2018 viene candidato alla Camera nel collegio uninominale Toscana 01 dove, con il 19% si posiziona terzo, ma viene ripescato nel collegio plurinominale Toscana 03. Lega ed M5S, dopo mesi di trattative, raggiungono un accordo sul nome dello "sponsor" Conte il quale ricambia Bonafede nominandolo ministro della Giustizia. Da quel momento in poi ha inizio una serie interminabile di gaffes. Nel gennaio 2019 Bonafede gira e diffonde sui social un video sull'arresto di Cesare Battisti e viene subissato da critiche in quanto, con tale iniziative, il Guardasigilli contravverrebbe all'articolo 114 del codice di procedura che vieta la "pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica". Bonafede, insieme all'allora Ministro dell'Interno Matteo Salvini, viene indagato per abuso d'ufficio, ma poi la procura di Roma archivia il caso.

Sempre nello stesso mese, parlando dall’Aula di Montecitorio nel corso della presentazione della relazione annuale al parlamento sull'amministrazione della giustizia, Bonafede dichiara convinto: "Non c'è bisogno di raccontare la corruzione; la corruzione si vede a occhio nudo, si respira nell'aria; quando cade un ponte, una casa, c'è sempre dietro una storia di mazzette e di risparmio sui materiali". E poi ancora: "Ogni volta che un giovane è costretto a scappare dal nostro Paese è perché lo considera un Paese corrotto". Del resto che cosa ci poteva aspettare dall'autore della legge Spazzacorrotti. Un provvedimento che, come disse Raffaele Cantone, è "scritto così male che rischia di alimentare la corruzione", tanto che la Consulta l'ha dichiarata parzialmente incostituzionale.

Nel dicembre 2019 prima, ospite di Porta a Porta, Bonafede dichiara candidamente: "I reati dolosi non sempre sono facilmente dimostrabili e quindi diventano colposi, con una conseguente riduzione dei tempi della prescrizione". Un errore imperdonabile per un ministro della Giustizia che, accortosi dello sbaglio, si precipita a pubblicare un chiarimento su Facebook: "Sebbene i temi della giustizia siano tantissimi e tutti concentrati in queste settimane – scrive in un post - alcuni addetti ai lavori preferiscono dedicarsi al taglio di 10 secondi di un'intervista serratissima durata 1 ora e 10 minuti per sottolineare l'oggettiva scorrettezza giuridica di una mia frase". E ancora: "L'obiettivo era evidentemente quello di spiegare in maniera semplice ai cittadini le conseguenze (sulla prescrizione) della configurazione di una condotta in termini colposi o dolosi. D'altronde – prosegue il ministro - ci sono da sempre interi processi che viaggiano sul confine tra dolo eventuale e colpa cosciente".

Ed è proprio la prescrizione il tema di scontro che infiamma la maggioranza con i renziani che erano pronti a far cadere il governo su questo tema. Una riforma che è stata definita "mostruosa" da Carlo Nordio, "uno strabismo legislativo" da Gherardo Colombo e che è stata tacciata di "populismo penale" dal presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza. La riforma, così com'è stata concepita da Bonafede, impone il blocco della prescrizione in caso di condanna in primo grado, ma il ministro trascura il fatto che la stragrande maggioranza dei processi vanno in prescrizione già nella fase delle indagini preliminari.

Gli errori di Bonafede sulle carceri

È il gennaio 2020 quando il ministro Bonafede ad Otto e mezzo afferma che "gli innocenti non finiscono in carcere", generando l'immediata smentita degli altri ospiti che gli ricordano che, dal 1992 al 2018, 27 mila detenuti sono stati risarciti per essere stati ingiustamente carcerati. Davanti alle critiche pervenute anche dalla giornalista de La7 Gaia Tortora, figlia del conduttore Enzo che venne incarcerato per un errore giudiziario, Bonafede si è difeso: "Ho specificato che gli 'innocenti non vanno in carcere' riferendomi evidentemente e ovviamente, in quel contesto, a coloro che vengono assolti (la cui innocenza è, per l'appunto, 'confermata' dallo Stato)".

Ma il ministro finisce poi nell'occhio del ciclone per avere commesso una serie imperdonabile di errori durante la pandemia. Il primo è quello di aver sconfessato se stesso, inserendo nel decreto Cura Italia una sorta di "svuotacarceri" in quanto ha dato la possibilità ai detenuti che avessero ancora 18 mesi di carcere di scontare la propria pena con i domiciliari. Uno svuotacarceri che, come ha confermato il ministro, ha riguardato circa 6mila persone eppure, fino a quel momento, si era sempre detto contrario a questa comoda scorciatoia. Poi, la "grana" Nino Di Matteo, con quest'ultimo che accusa in diretta tv Bonafede di avere stoppato la nomina del magistrato in questione alla direzione delle carceri. Il ministro alza la cornetta per ribattere a botta calda a "Non è l'Arena". E qua inciampa, perché la spiegazione fornita da Bonafede fa acqua da tutte le parti. Secondo lui, il posto cui si era pensato per Di Matteo non era il Dap, la direzione delle carceri, ma un incarico ancor più prestigioso: la direzione degli Affari penali, "molto più importante, ruolo che era stato di Falcone, molto più di frontiera nella lotta alla mafia". Peccato che quel posto non esista più da anni.

Il presente del grillino "siculo-toscano"

Passato con fatica le mozioni di sfiducia individuale presentata dalle opposizioni, Alfonso Bonafede dismetterà i panni di ministro nel febbraio 2021 con la caduta del Conte 2 e l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Escluso dalla possibilità di potersi ricandidare in Parlamento per via della regola dei due mandati, "Dj Foffo" viene comunque ripescato da Conte. Poco meno di un anno fa, infatti, ha trovato casa come consigliere laico del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, grazie a un accordo con la maggioranza di centrodestra. È entrato così a far parte dell'equivalente del Csm per una delle magistrature speciali. Nei mesi precedenti Bonafede era stato dato in pole per la nomina al Csm, ma a frenarlo era stata un'interpretazione stringente data dal regolamento parlamentare al requisito dei 15 anni di esercizio della professione di avvocato. Nel 2013 anche Conte aveva ottenuto lo stesso identico ruolo che ricopre l'ex Guardasigilli.

Del resto: chi si somiglia, si piglia.

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