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Altri 150mila esodati. Fornero: "Chiedete all'Inps"

Inps: "Il Ministero ha tutti i dati". E per gli italiani è incubo pensioni: 1 su 3 ha paura di perdere il posto di lavoro

Altri 150mila esodati. Fornero: "Chiedete all'Inps"

Un lavoratore su tre ha paura di perdere il posto di lavoro e rimanere senza pensione. E l’allarme ormai riguarda anche i dipendenti pubblici: il 21,4% teme di perdere il lavoro, il 24,1% di finire nel precariato. Un’indagine realizzata dal Censis per la Covip punta il riflettore sulla situazione di incertezza e paura che ormai accumuna tutti gli italiani in fatto di previdenza, giovani in primis.

Paure infondate? Secondo il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sì. "Incertezze sulla sostenibilità e solidità finanziaria del sistema pubblico di previdenza – ha detto il Ministro intervenendo alla presentazione dello studio del Censis - non hanno ragione di essere. Il trasferimento di Inpdap a Inps non ha creato incertezze di nessuna natura. Il sistema pubblico è solido - ha proseguito Fornero - perché è basato sulla gestione con il sistema contributivo che non scarica oneri su altri''.

Così come la Fornero non ha dato risposte sui 150mila esodati ancora senza tutela, di cui parla oggi Il Messaggero. "È una fonte Inps, dovete chiedere all’Inps - ha detto - visto che ci sono conti dei quali il ministro ancora una volta non viene informato". Battuta a cui l'istituto previdenziale ha risposto che non ci sono nuovi dati rispetto a quelli di maggio in cui denunciava complessivamente 390mila lavoratori a rischio pensione.

D’altronde, il ministro ha poi aggiunto: ''Non vuol dire che abbiamo eliminato ogni tipo di rischio. Se il sistema non cresce i contributi sono capitalizzati ad un tasso basso se non negativo. Questo crea un rischio di adeguatezza. Se l'economia non cresce, non possiamo fare buone pensioni''.

Chissà cosa ne penseranno il 39,4% dei giovani occupati che ha un percorso contributivo intermittente a causa di lavori precari o impieghi senza versamenti pensionistici. Per loro la preoccupazione esiste eccome e riguarda la possibilità di trascorrere la vecchiaia in ristrettezze economiche (39%). Proprio per questo sono consapevoli di dover integrare la pensione pubblica con qualche forma di risparmio: titoli mobiliari (38,8%), il mattone (19%) e la previdenza complementare (17,4%). Malgrado i timori, le scelte di risparmio per la vecchiaia penalizzano la previdenza complementare, ancora troppo poco conosciuta.

Sono 16 milioni i lavoratori che non hanno idea di come funzioni. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida di questi strumenti, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda. Particolarmente bassa è la fiducia dei lavoratori autonomi, tra i quali il 35% dichiara di non aderire perché non si fida degli strumenti di previdenza complementare, percentuale che scende al 26,5% tra i dipendenti pubblici e al 26,3% tra quelli privati.

Oltre al fattore economico, quindi, la scarsa diffusione della previdenza complementare dipende dalle voragini informative e dalla ridotta fiducia nei soggetti che attualmente offrono gli strumenti di previdenza complementare. “E’ impressionante - ha detto il presidente del Censis, Giuseppe De Rita - vedere come l’analfabetismo finanziario sia così forte, come la metà della popolazione italiana sia incapace di riconoscere l’interesse composto”. Dall’indagine, infatti, risulta che il 47% dei lavoratori italiani non è in grado di comprendere gli effetti dell’interesse composto sul capitale in un normale conto corrente, il 49% non sa come varia il potere d’acquisto del proprio reddito a fronte dell’incremento dei prezzi (cioè non capisce gli effetti dell’inflazione), il 47% non è consapevole che l’acquisto di azioni è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento.

Circa 11 milioni di lavoratori non conoscono aspetti finanziari basic (come gli interessi sul capitale, l’inflazione, la rischiosità degli investimenti) o hanno una competenza molto ridotta. Studiare economia all’università aiuta poco in questo caso, visto che il 30,6% dei lavoratori laureati con studi in economia non conosce gli effetti degli interessi sul capitale, quindi il funzionamento di un investimento, il 39,2% non ha cognizione di come funziona l’inflazione, dell’impatto sul proprio reddito e sul potere d’acquisto, e il 16% non sa che l’acquisto di azioni di un’azienda è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento.

“Che succede – ha concluso De Rita - in un sistema dove il primo pilastro della previdenza è incapace di dare la sicurezza delle norme che si modificano costantemente? Sono trent’anni che il sistema cambia costantemente. Ci troviamo di fronte alla necessità di dover gestire le incertezze. Siamo arrivati a quel punto e dobbiamo per forza avere una cultura finanziaria per la distribuzione dei rischi.

Per quel che riguarda le pensioni complementari c’è sicuramente un problema economico, non ci sono i soldi, ma c’è anche tanta ignoranza”.

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