Ammettere gli sbagli se si vuole ripartireil commento 2

diNon è nel suo carattere perdere. Non lo è neppure chiedere scusa per una sconfitta, dover ammettere che non basta crederci, non basta l'ottimismo, non basta neppure incartare o ingannare il destino con una battuta, un sorriso, una pacca sulla spalla. Ci sono nemici, o situazioni, o eventi che per quanto tu carichi e provi a buttarli giù, quelli non se ne vanno, stanno lì, come fantasmi cupi, sfuggenti, come un'equazione impossibile da risolvere. Insomma, ci sono momenti nella vita in cui bisogna dire ho perso, ho sbagliato, non ce l'ho fatta. È quello che è successo a Berlusconi, premier solitario negli anni della più grave crisi economica del dopoguerra. Crisi lunga, ambigua, salata, arrivata in una di quelli fasi in cui il capitalismo perde la bussola morale e non ha ancora trovato gli anticorpi per riparare ai suoi errori. Una crisi che forse serve a ricordare agli umani che non sono onnipotenti. Berlusconi chiede scusa e le parole sono nell'ultimo saggio di Vespa, che come al solito centellina i contenuti giorno dopo giorno per tenere alti gli indici di ascolto. Eccole. «Pensavo di chiedere scusa agli italiani perché non ce l'ho fatta. La crisi ha cancellato i nostri sforzi, anche se noi abbiamo lasciato la disoccupazione al punto più basso degli ultimi vent'anni. Abbiamo garantito la pace sociale negli anni più duri della crisi. Abbiamo impiegato 38 miliardi in ammortizzatori sociali. Abbiamo tagliato le spese ai ministeri con la prima vera spending review e attuato il più grande stanziamento sulla cassa integrazione della storia italiana». Solo che tutto questo non è bastato. Forse non era la ricetta giusta. Forse non aveva gli uomini adatti. Forse qualcosa non è andato come doveva andare. Forse per battere la crisi c'erano troppi fronti aperti. Forse il Cavaliere all'inizio l'ha sottovalutata. Forse i ministri del suo governo tiravano tutti da una parte, solo che quello più importante, Tremonti, tirava dall'altra. Forse questa crisi è semplicemente così, e se anche la Merkel dice che per uscirne del tutto fuori ci vogliono altri cinque anni ora si può solo resistere, magari seminando per quando tornerà l'arcobaleno. Ma tutto questo alla fine non ha importanza. Il punto è che il Cavaliere non ce l'ha fatta. Ci ha provato. Non c'è riuscito. Si è trovato al novantesimo, a fine partita, con la necessità di fare i conti con la sconfitta. E il primo passo per superare una sconfitta è ammetterla. Il secondo è chiedere scusa a quelli che avevano creduto in te, quelli che ci avevano scommesso, quelli che ti avevano affidato il mandato di vincere questa battaglia. Sembra tutto molto scontato, ma non è mai così facile.

Non capita solo ai capi di governo dover fare i conti con un fallimento personale, con una sfida senza successo. E ogni volta, nel grande e nel piccolo, serve un pizzico di coraggio. È il modo per capire dove, quando e perché hai perso. Questo è il terzo passo. Per poi, se ancora ti va, ricominciare.

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