Europa

Anche Von der Leyen ora sfata il tabù degli sbarchi

La presidente della Commissione Ue: "I veri rifugiati sono pochi"

Anche Von der Leyen ora sfata il tabù degli sbarchi

La «maggior parte dei richiedenti asilo nell'Ue non ha bisogno di protezione internazionale». Le parole pronunciate dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen (nel tondo) nella riunione del collegio dei commissari dell'8 febbraio scorso a Bruxelles possono sembrare una banalità. O la scoperta dell'acqua calda. Per quanto riguarda l'Italia tutti sanno, infatti, che la gran parte dei disgraziati sbarcati sulle nostre coste non rientra in nessuna delle categorie previste dalle leggi italiane ed europee per la concessione dello status di rifugiato e della protezione internazionale. La maggior parte non fugge infatti da guerre, carestie o persecuzioni, ma è semplicemente alla ricerca di un lavoro. O, peggio, punta a raggiungere parenti e conoscenti già sbarcati in Italia ed Europa. Ma questa realtà, banale quanto risaputa, era fino a ieri una verità nascosta. O meglio un tabù imposto in base ai dogmi dell'ipocrisia buonista e garantista che governa la sinistra italiana e influenza anche i vertici dell'Unione Europea. Mantenerlo e alimentarlo era una necessità imprescindibile per uno schieramento progressista che vedrebbe cancellati tutti i suoi dogmi sull'accoglienza. Oltre che quelli e sull'egoismo e sulla cattiveria di chi non li sottoscrive. Dogmi senza i quali non sarebbero più giustificabili, nè tollerabili le presunte attività umanitarie delle Ong decise a far sbarcare in Italia, e di conseguenza in Europa, più migranti possibili. Ma fino a a ieri le autorità europee contribuivano se non ad alimentare almeno a far sopravvivere quelle menzogne. Sul versante europeo la motivazione era meno ideologica e più pratica. Chiudere gli occhi sulla realtà italiana negandoci non solo qualsiasi ripartizione dei migranti, ma anche il diritto ad arginare gli sbarchi con decreti rivolti a bloccare le attività dei trafficanti di uomini e quelle delle Ong aveva un doppio obbiettivo. Da una parte si evitava il rischio di affrontare temi come la ripartizione dei migranti o la riforma del trattato di Dublino assai indigesti non solo per i paesi dell'Est e quelli del Nord, ma anche per Parigi e Berlino. Dall'altra si lasciava che l'Italia diventasse, complici i suoi governi di sinistra, una sorta di campo profughi provvisorio al servizio dell'Europa. Da quando però il governo Meloni ha portato il problema al cuore dell'Europa, questa seconda opportunità non è più percorribile. Nel contempo anche le storture di Dublino e della mancata ripartizione appaiono non più tollerabili. La presunzione di tener bloccati nel paese d'arrivo degli irregolari che hanno affrontato autentiche odissee pur di sbarcare in Europa si è dimostrata una pia illusione. E Francia e Germania, invase dagli irregolari pronti ad attraversare le Alpi pur di abbandonare il nostro paese, stanno spingendo le autorità europee a non nascondere più la testa sotto la sabbia e guardare in faccia la realtà. Non a caso la Von der Leyen, dopo aver fatto piazza pulita delle pregresse ipocrisie ha ricordato quanto sia «essenziale» rafforzare i controlli alle frontiere dell'Ue, «aumentare i tassi di rimpatrio dei migranti clandestini nei loro Paesi di origine». Praticamente quello che ripete il nostro governo.

Con una speranza in più, da adesso in poi, di venir ascoltato.

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