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"Antisemitismo strisciante". L’allarme nelle università italiane

Dopo lo stop della Scuola Normale di Pisa agli accordi con Israele, il ministro Tajani si dice preoccupato per il clima che si respira negli atenei italiani

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Lunga intervista rilasciata a il Messaggero da parte del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha fatto il punto sui principali temi di attualità politica che interessano il nostro Paese. Dal caso Salis alle proteste nelle università, il ministro degli Esteri è intervenuto su tutti i punti, esponendo il punto di vista del governo sulle questioni più delicate. Tajani ha affrontato in modo critico la questione degli atenei che in questi giorni stanno prendendo posizione politica sulla guerra in Israele, l'ultima in ordine di tempo la Scuola normale di Pisa.

"Vedo molta confusione anche in casa nostra, c'è chi usa le scelte del governo israeliano per attaccare Israele e gli ebrei. Mi preoccupa l'antisemitismo strisciante", ha detto il ministro, sottolineando che proprio in relazione alla decisione del Senato accademico della Normale di interrompere le collaborazioni con Israele ritiene sia un errore, "Come è una vergogna cacciare giornalisti dagli atenei solo perché ebrei. Questo antisemitismo non ha nulla a che vedere con il sostegno al popolo palestinese". Anzi, lo stesso ministro ha auspicato che "il governo israeliano fermi l'attacco su Rafah. La risoluzione per la tregua votata all'Onu è un passo importante. Dobbiamo lavorare per un cessate il fuoco immediato". E l'Italia lavora per la pace anche in Ucraina, dove Tajani esclude che sia prossimo un conflitto armato con la Russia e invita a "fare attenzione a utilizzare un linguaggio bellico".

A seguito del nuovo diniego alla concessione degli arresti domiciliari per Ilaria Salis, per la quale l'opposizione si straccia le vesti da tempo, puntando i piedi per chiedere un intervento diretto del governo italiano sulla magistratura ungherese, il vicepremier ha ribadito la necessità di mantenere un basso profilo politico per consentire alla diplomazia di fare il suo percorso.

In particolare, Tajani ha lanciato un monito al Partito democratico, che secondo alcune indiscrezioni vorrebbe candidare Salis alle Europee per garantirle l'elezione e, di conseguenza, l'immunità parlamentare. "Il Pd può fare quello che ritiene e Salis, da cittadina europea, può candidarsi. Ma dobbiamo dirci la verità: queste iniziative politiche raramente portano a risultati positivi e anzi rischiano di inasprire lo scontro con le autorità ungheresi, non facilitano il nostro lavoro", ha spiegato il ministro degli Esteri, ricordando che ci sono oltre 2.400 cittadini italiani detenuti in varie parti del mondo. "Se ogni caso giudiziario si trasformasse in una contesa politica qualsiasi sforzo di riportarli in Italia sarebbe vano", ha spiegato ancora Tajani.

Ma il caso di Ilaria Salis è stato subito spostato sul piano politico per l'area di appartenenza dell'insegnante, nota esponente dei centri sociali lombardi. Il suo arresto a Budapest deriva dall'accusa di aver aggredito alcuni militanti di estreme destra nel capoluogo ungherese. Il tutto è accaduto a febbraio 2023 e da allora l'insegnante, che è stata fermata dalla polizia mentre si trovava a bordo di un taxi e con un manganello retrattile con sé, è rinchiusa in un carcere di Budapest. Su Giorgia Meloni e il suo esecutivo ci sono forti pressioni da parte delle opposizioni ma, come ha ribadito il ministro Tajani, il governo italiano "sta facendo tutto" il possibile. Lo stesso ministro ha criticato l'immagine dell'insegnante in catene in tribunale, sottolineando che "L’Ungheria deve rispettare i diritti dei detenuti".

L'obiettivo attuale non è quello di riportare Salis in Italia, ha spiegato Tajani, ma quello di farle ottenere gli arresti domiciliari per farla uscire dalla prigione. Una soluzione che al momento il giudice ungherese non ritiene praticabile in quanto, in base alle sue considerazioni, persiste il rischio di fuga.

"Di certo non aiuta politicizzare la vicenda", ha ribadito il ministro, rivolgendosi a quanti stanno sollevando polveroni mediatici che non aiutano la diplomazia.

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