RomaNiente spezzatini né ghigliottine. Non si guarisce così un Pdl in prognosi riservata ma non ancora moribondo. Ne è convinto il segretario Angelino Alfano, che 48 ore dopo la randellata dei ballottaggi si trova a fronteggiare i malumori di colonnelli, capitani e tenenti ma non ci sta a buttare il bambino con lacqua sporca. Anzi, per restare alle metafore idriche, sospetta di «un tentativo di avvelenare i pozzi, di delegittimare il Pdl, di farlo apparire come qualcosa che non cè. Noi invece siamo in campo tutti a operare per la ricostruzione dellarea dei moderati». E a chi, come il direttore di Libero Maurizio Belpietro, entra a gamba tesa invitando «ad azzerare i vertici del partito», Alfano risponde così: «È la rispettabile opinione di un rispettabile giornalista. Lui faccia il suo mestiere, noi facciamo il nostro». Qualcun altro ipotizza uno spacchettamento del Pdl in varie sigle federate. Da Alfano altro stop: «Non mi sembra lidea migliore per rafforzare i moderati quella di dividere il più grande partito dei moderati». E allora cosa? «Nei prossimi giorni - annuncia il segretario - ci sarà un ufficio di presidenza e una comunicazione importante. Abbiamo chiaro quello che cè da fare. Con il concorso di tutti credo che si possa aprire una fase nuova per la politica». Nel tutti contro tutti qualcuno sospetta si tratti di un bluff, di un modo per prendere tempo.
Di certo è stata una giornata molto calda nel Pdl. Con una mattinata vivacizzata dalle dimissioni di uno dei tre coordinatori del partito, Sandro Bondi, piccato dallattacco di Libero ai vertici del partito. «Dopo aver letto tutto ciò che si è detto anche oggi (ieri, ndr) sul Pdl e sulle persone che, come me, in questi anni hanno avuto responsabilità nella gestione del partito - scrive Bondi - intendo rassegnare le mie dimissioni da coordinatore non perché reputi di avere delle colpe particolari (...) ma per sottrarmi ad attacchi e denigrazioni personali che fanno parte della peggiore politica». Dimissioni prontamente respinte da Alfano e Berlusconi. Non è giorno di scosse ma di analisi.
Ma qualche segnale forte deve arrivare. E in fretta. Anche perché cresce la frangia dei sanculotti che incitano alla rivoluzione. Tra loro Giancarlo Galan, che a Berlusconi dà quattro consigli politici e uno personale: «Punto primo, cambiare nome al partito. Secondo: cambiare facce con giovani persone che abbiano la credibilità per sostenere - ed è il punto terzo - un programma nuovo. Quarto: cambiare forma del partito perché le tessere non vanno bene da noi. E poi: Berlusconi torni a essere quel grande tessitore di rapporti che è stato. Parli con quelli che ci sono già, come Casini e i radicali, e quelli che ancora non ci sono, come Montezemolo». Più morbido il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera Osvaldo Napoli: «Gli elettori moderati stanno sempre lì, non sono spariti e aspettano che qualcuno sappia restituir loro la voce. Il Pdl ha perso le elezioni perché ha smarrito lungo la strada la forza magnetica e attrattiva del grande partito liberale, cattolico e riformista». Per Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera, la questione è unaltra: «Possiamo fare tutti gli esercizi possibili e immaginabili di spacchettamenti, rottamazioni, dimissioni e quantaltro; ma se non prendiamo coscienza che il problema fondamentale è quello della linea politica andiamo dietro solo a diversivi». Altero Matteoli è invece convinto che linizio della fine del primo partito del centrodestra sia stato il sostegno al governo Monti: «Il nostro elettorato - spiega lex ministro - non gradisce questo appoggio. Noi abbiamo dato tutta la fiducia in modo acritico. Io ero contrario fin dallinizio ma mi è stato detto che si doveva privilegiare il buonsenso. E il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi».
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