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"Berlusconi perse 6 milioni di voti nel 2013": l'ultima balla di Santoro

La coppia televisiva che ospitò il Cavaliere in quella storica puntata di Servizio Pubblico di dieci anni fa non la racconta giusta su come andarono effettivamente le elezioni del 2013: ecco cosa successe veramente

"Berlusconi perse 6 milioni di voti nel 2013". Cosa non torna nei numeri di Santoro e Travaglio

Ma è vero che Silvo Berlusconi perse 6 milioni e mezzo di voti alle elezioni politiche del febbraio 2013 dopo avere partecipato alla famosissima puntata della trasmissione di Michele Santoro e Marco Travaglio (nel gennaio precedente)? Lo hanno dichiarato pressoché all'unisono i due, ritornati in sintonia dopo sette anni di indifferenza reciproca, l'altra sera a Otto e mezzo. Il motivo di discussione era una delle memorabili scene che è entrata di diritto nella storia della televisione italiana: il Cavaliere che spolvera con un fazzoletto la sedia sulla quale era seduto l'attuale direttore del Fatto Quotidiano. Ma che cosa ci dicono i veri numeri elettorali, analizzati dieci anni dopo quella celebre scenata televisiva?

Senza Berlusconi, il Pdl era in crisi totale

Torniamo un attimo indietro nel tempo, esattamente nel tardo autunno del 2012. Il governo Monti, tutto composto da tecnici e sostenuto in Parlamento da centrodestra e centrosinistra, sta ormai per giungere al termine della propria esperienza. La legislatura sta per giungere alla scadenza naturale della legislatura e tutti i partiti si stanno per riorganizzare in vista delle elezioni che si terranno da là a qualche mese più tardi. Secondo tutti i sondaggi, la sinistra sembrerebbe la netta favorita per vincere la sfida alle urne, con il Partito Democratico di Pier Luigi Bersani (segretario dem e candidato premier della coalizione confermato alle recenti primarie contro Renzi) che veleggia oltre il 30% e che sogna concretamente di ottenere la maggioranza assoluta anche in Senato (che era il ramo del Parlamento in cui era più complicato fare man bassa di seggi, stando la legge elettorale in vigore).

Dall'altra parte del campo il Popolo delle Libertà è in evidente difficoltà: la caduta del governo Berlusconi, durato tre anni e mezzo, e l’appoggio più o meno “forzato” a Monti hanno provocato un calo dei consensi. Come se tutto questo non dovesse bastare, il Cavaliere annuncia che non sarà più lui a svolgere il ruolo di candidato premier e di capo del centrodestra: il testimone passa simbolicamente nelle mani di Angelino Alfano, segretario nazionale del Pdl. Tuttavia, tra novembre e dicembre tutto cambia: la condanna in primo grado per evasione fiscale inflitta a Berlusconi e il crollo del partito di centrodestra sotto addirittura il 10% (secondo alcune rilevazioni autorevoli) costringe l'ex presidente del Consiglio a riprendersi la scena. Niente più Alfano leader: il Cav “riscende” in campo 19 anni dopo la prima volta. E, ancora una volta, ribalta tutti i pronostici.

Le forze in campo e la rimonta del Cav

Mario Monti si dimette da premier e Napolitano firma lo scioglimento delle Camere alla Vigilia di Natale: si ritorna a votare per il rinnovo di Montecitorio e Palazzo Madama il 24 e 25 febbraio 2013. Parte quindi con le Festività natalizie l'intensa campagna elettorale che vede sulla scena almeno quattro importanti personalità per quattro campi contrapposti: Berlusconi (centrodestra), Bersani (centrosinistra), Monti con Scelta Civica (centro) e Beppe Grillo, alla guida del Movimento 5 Stelle nel suo debutto a una elezione nazionale. Come outsider, poi rivelatisi dei flop totale, ci sono anche il pm Antonio Ingroia (Rivoluzione Civile, di estrema sinistra) e il giornalista Oscar Giannino (Fare per fermare il declino). Berlusconi inizia poco a poco a rimontare: dall’8-9% registrato nel ponte di Sant'Ambrogio si arriva già verso il 14-15% poco dopo l'Epifania.

Ed è proprio qua che si arriva alla puntata "straordinaria" in tutti i sensi di Servizio Pubblico condotta da Santoro: è giovedì 10 gennaio, ore 21.15 circa. Tre ore e mezza di uno contro tutti mettono in evidenza un leader di centrodestra che è tutt'altro che finito e che combatte come un leone colpo su colpo nell'arena tv più antiberlusconiana che esistesse. Botta e risposta intensi e battute pungenti caratterizzano un programma che segna il record assoluto di ascolti per La7 (oltre il 33%): primato ancora oggi imbattuto dalla rete di Urbano Cairo. L'apice arriva - poco dopo le 23.30 - con la spolverata della sedia di Travaglio. Ed è il picco di share.

Il paragone tra il 2008 e il 2013 non può reggere

Torniamo allora alla domanda iniziale: con quella trasmissione in prime time Berlusconi perse 6,5 milioni di voti? Ovviamente no. Santoro e Travaglio utilizzano strumentalmente quel dato numerico per sostenere la differenza di preferenze attribuite al Pdl tra le elezioni del 2008 e quelle del 2013. Dal punto di vista meramente aritmetico la cifra corrisponde effettivamente a quel tipo di divario, ma è chiaro che risulta oggettivamente complicato paragonare due ere "geologiche": 15 anni fa c'era un blocco di centrodestra compattissimo che aveva preso il 37% (più l'8% della Lega) grazie all'unione di due personalità carismatiche quali lo stesso Berlusconi e Gianfranco Fini. La fusione di Forza Italia e Alleanza Nazionale premiò quella coalizione, anche sull'onda dei fallimentari due anni del governo Prodi; esattamente come lo strappo finiano e la fondazione di Futuro e Libertà contribuì all'inizio di una discesa dei consensi, insieme al combinato disposto di una crisi economia e finanziaria che influì l’intero quinquennio 2008-2013.

La verità è che, anche dopo quel 10 gennaio 2013, Berlusconi proseguì con la rimonta, che ebbe una pazzesca accelerata con la promessa agli italiani della restituzione dell'Imu che avevano versato: dal 16% si balzò a quasi quel 22% che equivalse in effetti ai numeri che provenivano dalle schede scrutinate a fine febbraio. Bersani vinse di pochissimo alla Camera, ma fallì l'obiettivo in Senato. La storia è nota: niente maggioranza assoluta autonoma per il centrosinistra. Bersani concluse la propria esperienza da leader del Pd mentre Berlusconi, dato politicamente per "morto", fu determinante per la rielezione di Napolitano al Quirinale e per la formazione del governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta.

Alla faccia dei milioni di voti "persi".

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