U no spettro si aggira per il Pd, come in una angosciante trama hitchcockiana: lo spettro del «governo di cambiamento» e del suo inventore, Pier Luigi Bersani.
Come in Rebecca, la prima moglie, l'ex segretario è tornato al Nazareno, si è accampato in due stanze di fronte a quelle del segretario attuale (una per lui e una per «la Zoia», storica segretaria emiliana), con Epifani che ora non sa dove piazzare i copiosi membri della sua segreteria. E si è rimesso alacremente a dire la sua. «Oggi abbiamo un governo di servizio, e lo sosterremo - annuncia al Corriere della sera - ma è compito di tutti noi tenere viva la prospettiva di un governo di cambiamento». E avverte: «Berlusconi ci pensi bene, stavolta staccare la spina al governo non significa automaticamente andare a votare». Anche se poi è costretto a precisare: «Noi non staccheremo mai la spina a questo governo. Si stia attenti a non tirare troppo la giacca...».
Per chi avesse rimosso, il governo di cambiamento era quello che Bersani si era messo in testa di fare insieme ai 5 Stelle, con l'autorizzazione di Grillo o provocando una scissione in casa del comico. Ora che la scissione sembra prendere corpo, l'ex candidato premier vede avverarsi la sua profezia: «Era solo questione di tempo, infatti è proprio quel che sta accadendo». Parole che mettono in allarme Palazzo Chigi, il Quirinale, il Pdl, i renziani. Che, in una dichiarazione firmata da un gruppo di senatori, accusano: «Quella di Bersani è una bordata strumentale contro chi a parole si vuol difendere, cioè Letta». E ad aumentare la tensione arriva una dichiarazione di Epifani dal Forum dei progressisti di Parigi: «Non è detto che alla fine di un governo corrisponda la fine della legislatura».
Nel Pd però quasi nessuno crede che rompere con il Pdl per imbarcare i transfughi M5S (quanti, poi?) sia realistico: «Discorsi assurdi», dice il vicecapogruppo Andrea Martella, «il Pd è impegnato a sostenere questo governo perché faccia le riforme, e a costruire la speranza di un nuovo inizio». Con Renzi, sottinteso. E poi, come fa notare un altro dirigente, «se andassero a proporre il ribaltone a Napolitano, li caccia a pedate: se cade Letta si vota, punto». Aggiunge uno dei «saggi», Stefano Ceccanti: «Il Pd non può certo far saltare Letta per ritrovarsi appeso a 4 senatori sciamannati, come nel 2006 con Prodi». Persino il fido Davide Zoggia, che per conto di Bersani si sta dando un gran daffare per impedire a Matteo Renzi di diventare leader e candidato premier del Pd (l'idea ora è quella di rinviare il congresso al 2014), e che in un convegno Cgil ha attaccato le larghe intese come «un prezzo che non ci possiamo permettere di pagare», ha confidato ad un collega parlamentare che «la riunione dei bersaniani è andata male, si stanno allontanando in troppi». Anche tra i giovani deputati bersaniani molti hanno capito che «Renzi vincerebbe qualsiasi cosa contro chiunque», come dice uno di loro, e quindi meditano di ricollocarsi con chi gli dà più chance di rielezione. Ma c'è chi invece pensa che il «ribaltone» sia una prospettiva reale: «Lo snodo di tutto saranno le sentenze di Berlusconi e il voto in Senato sulla sua interdizione - spiega un dirigente di Sel -, se il Pd vota a favore, la coalizione salta. Se vota contro per salvare il governo, salta il Pd». E il programma per il nuovo governo è già pronto: «Conflitto di interessi, e poi no agli F35, mini-patrimoniale e Imu per i redditi alti per non aumentare l'Iva».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.