
Quello che colpisce nella polemica scatenata dalla sinistra sulla decisione della maggioranza di governo di dare l'indicazione di voto dell'astensione ai propri elettori non è tanto la contestazione di un comportamento che equivale a tutti gli effetti ad una scelta politica: scelta che in passato fu adottata da Bettino Craxi sui referendum elettorali all'inizio degli anni '90 e più volte anche dalle molteplici metamorfosi del Pd (per esempio per referendum che si svolsero nel 2003 e nel 2016). Il dato sconvolgente semmai è che la critica punta ad indicare il dito e non la luna perché la vera contraddizione della Schlein è promuovere e appoggiare un referendum contro una legge come il job act voluta e approvata dal governo Renzi, un governo guidato dall'allora leader Pd e con dentro diversi ministri che ancora militano nel Pd (i cosiddetti riformisti il cui profilo in questa fase è quello di essere muti, attoniti, inesistenti).
Un paradosso che le critiche sull'astensionismo del centro-destra non coprono per nulla. Anche perché si può chiedere tutto ad uno schieramento politico come il centro-destra meno di fare campagna a favore di una legge come il job act che sulla carta dovrebbe essere patrimonio della storia del Pd, cioè di un partito avversario. Siamo al solito testa-coda di una certa sinistra, quella più ideologica, radicale ed integralista che scarseggia di senso politico ed è incline a segare spesso il ramo su cui si dondola. Basta guardare - per avere un esempio recente - a quei 18 voti della Spd (ormai è acclarato) che hanno fatto fallire il primo tentativo del cancelliere Mertz al Bundestag. Silurare e indebolire da sinistra un governo che è il tentativo «trasversale» di arginare l'avanzata della destra di Afd in Germania è a dir poco autolesionista. Si avvicina ad un meccanismo masochistico della politica che in certa sinistra è sempre immanente, che può innescarsi da un momento all'altro sulla base di un'ondata emotiva (contro il riarmo), di un rigurgito identitario (il pacifismo disarmato), di un richiamo della foresta di impronta ideologica (l'avversione al centrismo dei popolari), dell'idiosincrasia innata verso le responsabilità che impone il governare. Spesso un certo tipo di sinistra assume posizioni irrazionali, che si scontrano con il contesto politico e fanno a botte con la realtà. Attirata dalle scelte massimaliste del proprio elettorato o dal massimalismo del sindacato di riferimento (Cgil) finisce per interpretare il ruolo dello scorpione che attraversa il ruscello sulla schiena della rana e alla fine cede al desiderio di pungerla al costo di affogare. Con una spiegazione: «È nella mia natura». È proprio questo meccanismo perverso che rappresenta il peccato originale, il vero tallone di Achille della sinistra al governo. È la buccia di banana che può far crollare da un momento all'altro una maggioranza (basta pensare all'esperienza di Prodi con Bertinotti). Per alcuni versi c'è più pragmatismo nel grillismo «contiano», capace di governare con la Lega e con il Pd, che in quel mondo.
Il problema è che oggi la Schlein coltiva proprio quella identità (basta guardare i profili della sua segreteria), nella logica di una dottrina per cui in una fase condizionata dall'astensionismo l'estremismo identitario fa vincere. Gli esempi che i suoi adducono per suffragare la tesi sono gli exploit degli ultimi anni dei grillini, dei leghisti, di Fratelli d'Italia. Magari può anche essere vero almeno fino a quando l'altra metà dell'Italia, quella che non vota, non si sveglierà.
Solo che dopo aver vinto le elezioni devi pure governare e l'ipotetico esecutivo del campo largo (la rana) rischia di essere punto dalla sinistra integralista (lo scorpione) che ha portato nella stanza dei bottoni.È nella sua natura.
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