Roma Sono i prossimi esodati del centro. Parlamentari Udc e Fli che rischiano il posto, anzi lo scranno. Per alcuni il foglio di via da Montecitorio o Palazzo Madama è già timbrato. Ma a rischiare sono decine, una vera falcidie. È questo il vero incubo di Casini e Fini, risvegliatisi dal sogno di sfondare ben oltre la doppia cifra, di raggiungere addirittura il 15 per cento e diventare l'ago della bilancia della politica italiana. Ma un ago grande così, praticamente un giavellotto. E invece quell'ago è uno spillo quasi invisibile. In via Due Macelli e in via Poli si pigiano freneticamente i tasti delle calcolatrici. Conta e riconta, c'è poco da ridere. Un mezzo disastro alla Camera dei deputati, il rischio dello sbianchettamento in Senato. Da Terzo polo a terzo incomodo.
Partiamo da Montecitorio. Qui attualmente il gruppo dell'Udc conta 37 deputati e quello di Fli 26, per un totale di 63. Una pattuglia nutrita, pari a esattamente il 10 per cento dell'Aula. Ma una pattuglia decisamente sopravvalutata rispetto alla forza politica attuale delle due formazioni, con un'Udc appannata e un Fli che ha fallito il compito storico di capitalizzare in termini elettorali la diaspora di Fini da Berlusconi.
Ma quanti deputati potrebbe eleggere oggi il Terzo polo, dando per scontato che si andrà al voto con l'attuale legge elettorale, l'inesorabile «Porcellum»? Il trio Casini-Fini-Montezemolo nei sondaggi più recenti viene accreditato del 9 per cento dei voti, cifra che con il ritorno in campo di Silvio Berlusconi probabilmente dovrà essere ritoccata al ribasso: il Terzo polo infatti era uno degli approdi naturali (assieme alla Destra, a Grillo e al limbo degli incerti tentati dall'astensione) dei delusi del Pdl, quelli che però il ritorno del brand Berlusconi potrebbe riavvicinare al primo partito del centrodestra.
Le incognite sono tante. Se i tre partiti si presentassero divisi ma uniti da un'alleanza rischierebbero troppo: la soglia di sbarramento per i rassemblement è infatti fissato al 10 per cento. Sotto questa cifra, eleggono deputati solo i partiti che prendono singolarmente più del 4. Quindi a Montecitorio entrerebbe qualche sparuto esponente Udc. Niente finiani, niente montezemoliani. Salvo, naturalmente, clamorosi colpi di scena, come dicono i telecronisti di calcio.
Ciò rende quindi quasi scontato il fatto che Udc, Fli e Italia Futura, l'espressione elettorale della minigalassia di movimenti che fanno capo a Luca Cordero di Montezemolo, si presentino come partito unico, abbassando la quota di ingresso a Montecitorio al 4 per cento complessivo. Con il 9 per cento il massimo numero di parlamentari a cui si può aspirare è una cinquantina. Considerando che Montezemolo ha lanciato l'opa sul 30 per cento degli scranni, gliene toccherebbero 15. È presumibile pensare che in quota Udc sarebbero eletti 25 deputati e 10 tra i futuristi. Una vera strage soprattutto tra questi ultimi. A questo punto rischierebbero di perdere il prefisso «on.» molti dei pezzi grossi del partito, da Italo Bocchino a Giulia Bongiorno, da Giuseppe Consolo a Benedetto Della Vedova, da Donato Lamorte a Flavia Perina, dal finiano di ferro Francesco «Checchino» Proietti Cosimi a Fabio Granata, da Chiara Moroni a Enzo Raisi. Ma anche tra gli Udc cadrebbero se non proprio superbig, almeno alcuni pesi medi come Ferdinando Adornato, Paola Binetti, Gabriella Carlucci, Enzo Carra, Anna Teresa Formisano, Savino Pezzotta.
Ancora più complesso lo scenario al Senato. Qui il calcolo dei seggi si fa su base regionale, prescindendo dal numero complessivo di voti a livello nazionale. Per ogni alleanza c'è lo sbarramento del 20 per cento, per ogni partito singolo dell'8. Sotto queste cifre, prego ripassare. Quindi presentandosi come alleanza il Terzo polo resterebbe a secco, mentre da lista unica eleggerebbe senatori solo nelle Regioni in cui dovesse riuscire a superare quota otto. A questo punto la ripartizione dei seggi tra le tre anime sarebbe affidata all'ingegneria elettorale delle segreterie. È pensabile comunque a un bottino massimo di 25 senatori: secondo il 3-5-2 spetterebbero 7 o 8 senatori a Montezemolo, una dozzina a Casini e briciole a Fini (che oggi a Palazzo Madama ha 8 senatori).
Si capisce così perché i terzopolisti si stiano guardando intorno. Il flirt dell'Udc con il Pd va avanti da tempo ed è stato rinsaldato dal mezzo divorzio di Berlusconi dal governo Monti. Ma alla Camera i democratici non avrebbero nessun bisogno dei voti scudocrociati, che anzi creerebbero molti grattacapi nel rapporto con Vendola. E poi è difficile immaginare che Casini si porti dietro Fini e Montezemolo nel ménage con Bersani.
Per questo c'è chi pensa che alla fine potrebbe tornare in auge il progetto di un grande polo moderato con il Pdl ed eventualmente la Lega. Meno contronatura di un asse Pd-Udc, a patto di dimenticare gli screzi degli ultimi anni. Converrebbe a tutti. Soprattutto all'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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