La condanna a Greta Thunberg è una lezione alle toghe che graziarono la speronatrice Rackete

In Svezia l'attivista multata per non aver rispettato gli ordini della polizia. In Italia la Rackete (che non rispettò gli ordini della Capitaneria di porto) graziata dopo aver speronato la Gdf

La condanna a Greta Thunberg è una lezione alle toghe che graziarono la speronatrice Rackete
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Nel pantheon della sinistra nostrana, da sempre a caccia di simulacri da venerare, ci sono entrambe: Greta Thunberg e Carola Rackete. Le due prezzemoline delle proteste anti sistema sono l'incarnazione dei totem massimi della falange progressista in marcia contro le destre: la prima vestale dell'ideologia green, l'altra sacerdotessa dell'accoglienza più sfrenata. I loro santini vengono sventolati in piazza e nei parlamenti, le loro battaglie trasformate in manifesti durante le campagne elettorali. Entrambe intoccabili davanti alla legge, nonostante le continue prove di forza per scardinare il Sistema. Intoccabili fino a ieri, almeno per quanto riguarda la giustizia svedese che ha appunto condannato la Thunberg per non aver rispettato un ordine della polizia. Una bella lezione, che sicuramente rimarrà inascoltata, per quelle toghe italiane che due anni fa graziarono la Rackete dopo che questa non solo calpestò gli ordini della Capitaneria di porto, ma arrivò addirittura a speronare una motovedetta della Guardia di Finanza.

Ogni caso giuridico è a se stante, figuriamoci poi se a trattarlo sono tribunali di due Stati diversi. Epperò le vicissitudini giudiziarie delle due eroine della sinistra sono così simili che è impossibile non accostarle. Il casellario della Rackete, qui in Italia, lo conosciamo molto bene. Tutto ha inizio iI 29 giugno 2019 quando l'allora capitana della Sea Watch 3, infischiandosene dell'altolà impartito del governo italiano, entra con prepotenza a Lampedusa e scarica una cinquantina di clandestini. Tra questi, come rivelato dal nostro Giornale, ci sono anche tre brutti ceffi che, da lì a un anno, vengono a condannati a vent'anni di carcere ciascuno per le torture inflitte ai disperati stipati nei centri di detenzione libici. Tronfia del gesto di forza contro l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini, autore del decreto Sicurezza che ne bloccava l'attracco in porto, viene subito osannata dal Partito democratico che inizia una campagna mediatica quando il procuratore di Agrigento la incrimina prima per lo speronamento e poi per il presunto traffico di esseri umani. Il risultato è altrettanto noto. Fascicolo archiviato, in entrambi i casi. E questo nonostante l'azione di forza. Per la Cassazione avrebbe addirittura "rispettato il dovere di soccorso" che "non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro". Anche se questo contravviene a una legge dello Stato.

Di tutt'altro avviso il tribunale svedese che ieri ha condannato la Thunberg a pagare una multa per non aver rispettato un ordine della polizia. Lo scorso 19 giugno gli agenti le avevano, infatti, chiesto di liberare la strada percorsa dai camion che trasportano il petrolio al porto di Malmö. Lei e gli altri gretini si erano ovviamente rifiutati. E così erano finiti nei guai. Nemmeno davanti alla corte, prima del verdetto, si è rifiutata di ammettere l'errore: "Le mie azioni sono giustificabili". Esattamente come la Rackete, stessa spocchia.

Solo che anziché graziarla i giudici svedesi l'hanno condannata. Una multa da 1.500 corone (130 euro). Poca cosa, per carità, ma comunque meglio dell'archiviazione di una "pirata" che tra qualche mese rischiamo pure di ritrovarci al Parlamento europeo.

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