Il "Corriere" rimpiange Stalin: "Una grande figura di statista"

Due pagine di "revisionismo" firmate dallo storico di sinistra Canfora: cancellati deportazioni, gulag, purghe politiche e 15 milioni di vittime

La storia si scrive sempre usando il tempo presente è un bel titolo. Ma l'ideologia spesso fatica a staccarsi dal passato. Un eterno passato da filologo classico, un passato recente da candidato nei Comunisti italiani e un presente infinito da polemista e firma nobile del Corriere della sera, Luciano Canfora, antichista nostalgico che sogna un futuro da socialismo reale, ha impartito ieri una magistrale lezione di storiografia politica sulle pagine culturali del suo giornale. Suo e, come vuole la vulgata, della borghesia italiana, quella borghesia liberale, moderata, produttiva, operosa ma non operaia e men che meno operaista che, immaginiamo, tutto vorrebbe ascoltare tranne un'accademica e circostanziata esaltazione dello stalinismo.

In una doppia pagina dedicata a quella che avrebbe dovuto essere una recensione del nuovo saggio di Paolo Mieli I conti con la Storia (Rizzoli), Luciano Canfora dimenticandosi completamente di parlare del libro, finisce in realtà per regolare i conti con il proprio passato. Concentrandosi unicamente, a dispetto di un saggio che spazia da Pericle a Roosevelt, sul «grande problema storico» di Stalin. E, supportato dalla citazione di Machiavelli secondo la quale è lecito al Principe violare le regole della morale comune se fa «gran cose», il professor Canfora spiega ex cathedra come da Croce a De Gasperi, da Nenni a Bobbio, il giudizio storico su Stalin non sia mai stato meno che ottimo; che la «drastica demolizione» di Stalin è stata attuata dalla parte vincente dei suoi successori nel XX e XXI Congresso del Pcus; e che solo la crisi dell'Urss e la sua dissoluzione comportò (e qui Canfora forse avrebbe voluto infilarci anche un «purtroppo») «la revisione, il ridimensionamento e la rozza equiparazione di Stalin con gli altri dittatori». Rozza equiparazione. Possiamo immaginare, a questo punto, la reazione del lettore-medio del Corriere della sera, borghese, liberale, moderato... Editorialisti emeriti con Ostellino o Battista, e lo stesso Mieli, saranno - immaginiamo - collassati. Servirà, per controbattere la tesi di Canfora, un piano quinquennale di articolesse di riparazione storiografica.

E siamo soltanto a metà dell'articolo. Perché immediatamente dopo, Canfora nota (con malcelata soddisfazione) che il giudizio su Stalin è ancora una volta cambiato: «Gli ultimi vent'anni hanno imposto una ulteriore revisione: una revisione che non può non interessare qualunque storico rifletta su quella vicenda, cioè sull'azione dello statista (sic) Stalin nei 25 anni di potere assoluto che avevano fatto della Russia una grande potenza rimasta tale anche dopo la fine dell'Urss... E del ritorno di Stalin come grande figura della sua storia nazionale c'è poco da stupirsi».

E non ci stupiamo, a questo punto, che il professor Canfora abbia trascurato quegli insignificanti dettagli storici quali: terrorismo di Stato, deportazioni, purghe politiche, carestie, repressioni e Gulag, il cui tributo in termini di sangue è quantificabile - pur orientandosi verso le cifre più basse fornite dagli storici - in non meno di 15 milioni di morti. Sacrificati sull'altare delle «gran cose» fatte da Stalin.

Che sarebbe come l'assolvere il Duce per le leggi razziali e l'aver trascinato l'Italia in una guerra disastrosa, perché «il fascismo ha fatto anche cose buone».

Il revisionismo ad personam di Luciano Canfora. La cui lezione impartita sulle pagine del Corriere dimostra soprattutto questo. Che visionario non è chi, ancora oggi, agita il fantasma del comunismo. Ma chi ne rimpiange l'Impero.

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