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Le desinenze linguistiche ci insegnano le differenze

Maschile e femminile, generi e parole

Le desinenze linguistiche ci insegnano le differenze
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«Le radici sono importanti, ma le desinenze di più» ha scritto ieri Luigi Mascheroni, riferendosi ai diversi tentativi di intervenire sulla lingua italiana attraverso imposizioni esterne, di tipo normativo (come nel caso del senatore Potenti, che però ha ritirato la proposta) o procedurale (come nel caso, opposto ma analogo, del Rettore dell'università di Trento, che invece la sua proposta l'ha attuata). Sono d'accordo con la sintesi suggerita dal bravo giornalista: la lingua non si addomestica, ma fa tutto da sola. Da sola infatti ha sempre riconosciuto l'esistenza del maschile e del femminile, nella concretezza dell'uso quotidiano, che rileva anche le continue novità, la conservazione e il cambiamento. E se c'è stato un grande e straordinario cambiamento, almeno nell'occidente libero e democratico, è quello che ha riguardato le donne. Che fino a pochi anni fa erano relegate nel privato dell'universo domestico, escluse dalla zona pubblica, e non potevano essere avvocato, medico, senatore, e tantomeno presidente del Consiglio.

Le desinenze, con inesorabile freddezza, registravano questa esclusione. Eppure il femminile, laddove il ruolo era riconosciuto, si infiltrava autorevolmente: troviamo così nel Salve Regina l'invocazione alla Vergine «avvocata nostra», o in Dante l'appellativo di «ministra». È evidente, quindi, che i termini al femminile diventeranno sempre più frequenti e di uso comune, e se «maestra» si dice da sempre per indicare chi si occupa dei bambini, ma non per la grande artista, le cose cambieranno. Accadrà spontaneamente, spero lasciando sempre la libertà di utilizzare il titolo che si preferisce, senza dirigismi astratti e rigidità. E senza le forzature ideologiche che a dispetto della realtà dei corpi sessuati, vorrebbero imporci una nuova finta neutralità, il cosiddetto «gender fluid», abolendo la differenza sessuale anche nel lessico, attraverso l'imposizione della schwa, degli asterischi, delle parole che finiscono nel nulla, a cui aspira la sinistra di Elly Schlein.

Con serena indifferenza non solo per la lingua, ma per un minimo di coerenza, il Pd ha voluto l'asterisco (però con l'accento!) per la festa dell'Unità, mentre nella stessa festa si dibatteva tra l'altro di medicina di genere, e quindi della fatale ineliminabilità del binarismo uomo-donna, che include la necessità di adeguarvi anche la ricerca sanitaria.

Teniamoci dunque le care desinenze maschili e femminili, che ci ricordano che la differenza esiste, che è a fondamento del gruppo umano, e che nessun asterisco può cancellarla.

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