«No ddl Profumo, fuori banche e aziende dalle scuole, saperi per tutti, privilegi per nessuno». Con questi slogan, gli studenti hanno manifestato in tutta Italia. Una protesta cieca, perché ideologica, e inaccettabile, perché violenta. Poche le recriminazioni concrete, e quelle che si sono sentite lasciano di stucco. Della mini-riforma Profumo, viene contestato ciò che proprio gli studenti dovrebbero invocare a gran voce: la meritocrazia e un maggior raccordo col mondo del lavoro. Si possono discutere punto per punto i provvedimenti del ministro, come il premio allo studente migliore che molti, con buone ragioni, ritengono grottesco. Ma bocciare l’idea stessa di meritocrazia, significa riproporre il vecchio egualitarismo di massa che, come indicano tutte le ricerche sulla qualità dell’istruzione, si è risolto in un drastico livellamento verso il basso.
Più in generale, si contesta al governo Monti di togliere fondi alla scuola pubblica col segreto disegno di favorire la paritaria. Non si tiene conto della realtà fatta di risorse sprecate e di organici pletorici per giunta maldistribuiti sul territorio: l’eredità di battaglie sindacali sbagliate ma assecondate per decenni dalla cattiva politica. Lamentarsi poi dei presunti privilegi dei ricchi, lanciando invettive contro la «scuola di classe», è un buon argomento solo per infiammare gli animi di chi ha voglia di menare le mani a prescindere dai fatti. E i fatti dicono che demonizzare il privato è una sciocchezza. La scuola paritaria fa risparmiare una montagna di soldi alla pubblica amministrazione. Se quest’ultima si accollasse i costi di ogni alunno delle paritarie, gli istituti di Stato chiuderebbero bottega.
C’è poi un problema di libertà che sfugge a chi protesta, pronto a scagliarsi, immagino, contro la «Religione di Stato» ma prono davanti alla «Scuola di Stato». Scegliere quale educazione impartire ai propri figli non è un optional ma una garanzia di pluralismo: questo però ai «collettivi» studenteschi non interessa. C’è da dubitare che la scuola sia davvero in cima alla lista delle loro preoccupazioni. A Torino sono state bruciate le fotografie di Monti, Profumo, Fornero, Cota e Fassino. A Roma è stata issata sull’altare della patria una gigantografia di Monti-Dracula. A Milano e Palermo, i cortei puntavano al palazzo della Regione e non all’Ufficio scolastico. Sono state distrutte tessere elettorali.
Ovunque sono state attaccate le banche. In piazza c’erano anche No Tav, centri sociali, movimenti stile «Occupy». Nessuno, stando alle parole del titolare dell’Istruzione, ha chiesto un incontro per spiegare le proprie convinzioni. Le condizioni delle aule, le baronie universitarie e il rincaro dei libri non c’entrano. Qui c’entra soltanto l’ideologia, e non è un caso che Giorgio Cremaschi, leader della Fiom, abbia scelto la giornata di ieri per rilanciare il «No Monti Day» del 27 ottobre. Un’iniziativa nata per contestare le «politiche liberiste» del «governo unico che va da Bersani a Berlusconi passando per Monti». Si sa mai che vogliano unirsi anche i compagni studenti, come ai bei (si fa per dire) tempi andati. Dietro tutto questo si nasconde il solito anticapitalismo.
Nei prossimi giorni, si parlerà soprattutto della inevitabile reazione delle forze dell’ordine e si troveranno improbabili giustificazioni per i ragazzi violenti, in ansia a causa della crisi. Una litania che già affiora in alcune dichiarazioni di ieri. I problemi della scuola e dell’università, dal reclutamento dei docenti ai programmi ispirati da teorie fallimentari, resteranno intatti e saranno ulteriormente oscurati. Che strazio.
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