Fine vita, il Parlamento decida

È ora che il Parlamento si assuma la responsabilità di decidere, cambiando non solo la legge, ma anche il destino di chi chiede, come me, non il diritto al suicidio, ma come dice il titolo del volume sul tema di Paolo Becchi la "licenza di morire"

Fine vita, il Parlamento decida

Gaza è un orrore, ciascuno nel suo ambito coltiva dolore e sdegno, guai se vincesse l'indifferenza. Nel frattempo continua a lavorare. Il panettiere pertanto si arrabbia, ma intanto sforna michette e pagnotte, cercando di non bagnare di lacrime la farina. È troppo pretendere che facciano lo stesso i parlamentari? Sono 600 e ad essi appartiene in esclusiva il potere legislativo, che è loro dovere esercitare per il bene del popolo che glielo conferisce. Il quale popolo apprezza che i suoi eletti esprimano riprovazione per l'agonia dei bambini palestinesi e (magari) degli ostaggi ebrei. E pazienza se la profusione di parole dolenti e irose non sposta di un millimetro il destino delle vittime. Però poi, come i fornai di cui sopra, mettano mano all'impasto che riguarda direttamente gli italiani e di cui possono dosare ingredienti. Parlo della legge sul fine vita, sul suicidio medicalmente assistito, sull'eutanasia, si chiami l'argomento come si vuole, ma accidenti ci siamo capiti. È una questione che riguarda tutti, ed è qualcosa che è nel raggio di azione delle nostre Camere. Una legge sulla quale né Trump né Putin né la Von der Leyen possono eccepire. Il Papa darà da vescovo di Roma il suo giudizio. Così i vescovi italiani, che hanno gli stessi diritti di parola dei connazionali, diranno la loro.

Ecco, io dico, litigate, tagliatevi l'un l'altro i vestiti addosso, ma decidete. Vi rendete conto, signori politici, che con l'indolenza che si crede furba decretate il suicidio poco assistito della democrazia?

Capisco che si traccheggi, perché qualsiasi decisione si prenda pro o contro - fa infuriare l'altra parte. Inevitabile. Tutte le cose serie della vita comportano scelte di campo. Ci si divide? In una società pluralista, dotata di regole liberali, la convivenza civile è fatta del porsi

e opporsi tra le sue componenti, ma lottare, votare, poi deliberare. Salvo appellarsi con referendum direttamente al popolo, il quale - quando c'è di mezzo la vita e la morte salta con agilità la soglia del quorum, rivitalizzando pacificamente la democrazia.

E invece nessuno decide alcunché. Prevale la paura per la propria personale seggiola. Risultato: un immobilismo che dura da anni e che continua a ignorare le indicazioni della Corte costituzionale, lasciando il Paese in una paralisi legislativa che pesa sulla vita e sulla morte di chi soffre.

Già nel 2018, la Corte costituzionale aveva segnalato al Parlamento la necessità di intervenire con una legge per correggere l'articolo 580 del codice penale, che puniva indistintamente ogni forma di aiuto al suicidio. Nel 2019, di fronte all'inerzia parlamentare, la Corte aveva stabilito che, a determinate condizioni, non fosse punibile chi aiutasse una persona a porre fine alla propria vita. Le condizioni erano chiare: il malato doveva essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetto da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, e dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Tuttavia, la Consulta aveva ribadito che una legge era necessaria per disciplinare l'intera materia, superando i limiti della sua competenza.

Da allora sono passati sette anni, e il Parlamento non ha fatto nulla. Nel contempo, la Corte costituzionale è intervenuta ancora due volte, nel 2024 e nei giorni scorsi. Ha implorato i parlamentari di smetterla di costringere i giudici a fare i crumiri e a lavorare sul terreno che la magistratura non può e non deve occupare. Diciamo che le toghe lo fanno, eccome: è accaduto ancora venerdì quando la Cassazione ha passato la pratica sui centri in Albania alla Corte

di Giustizia del Lussemburgo, pur di intralciare il contrasto del governo all'immigrazione clandestina di massa. Manca solo che le toghe chiedano l'intervento del tribunale del Burundi. Giusto ribellarsi da parte della politica a questo furto di competenze ad opera delle toghe, ma allora perché - su un tema essenziale qual è il fine vita - consegnare la materia ai giudici? I quali nel caso specifico riempiono il vuoto lasciato da un Parlamento che diserta il suo dovere. La democrazia infatti non è basata sull'arte della fuga dalle responsabilità: è rischiare giocando le proprie convinzioni, trattare, litigare, poi scegliere in coscienza. E se non c'è coscienza, si può sempre far finta di averla.

Mentre il Parlamento resta con i piedi a mollo nella palude tiberina, il 3 giugno arriva a Roma Emmanuel Macron. Non mi piace copiare i francesi, e tanto meno dare attestati al loro presidente, la cui arroganza ha meritato lo schiaffo della nonna. Ma in Francia, come del resto in Gran Bretagna, si sta per votare una legge sull'eutanasia. Un tema che divide, certo, ma che lì viene affrontato con coraggio. In Francia, si sta assistendo al paradosso di laici contrari e cattolici favorevoli al suicidio assistito, e l'Eliseo lascia corso alla democrazia. Forse, per una volta, dovremmo abbeverarci alla Senna, anche se fa schifo.

È ora che il Parlamento si assuma la responsabilità di decidere, cambiando non solo la legge, ma anche il destino di chi chiede, come me, non il diritto al suicidio, ma come dice il titolo del volume sul tema di Paolo Becchi la «licenza di morire».

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