Gaffe, amarezze e rabbia: il robot Monti è finito in tilt

Altro che loden e sobrietà, SuperMario ora è solo mezze frasi e allusioni. Il risultato? Non fa nomi e scontenta tutti

Gaffe, amarezze e rabbia: il robot Monti è finito in tilt

Governare stanca. Quando Mario Monti è entrato a Palazzo Chigi portava nella sua borsa una buona dose di disin­canto e un grammo di ottimismo. Il ret­tore della Bocconi che diventa primo ministro. Una squadra di professori al suo fianco. Il bagaglio di buon senso de­gli editoriali scritti sul Corsera . Il post Berlusconi vissuto come una corsa in pianura. La benedizione del Quirinale. La curiosità degli italiani per quel lo­den verde buono a sopportare l’inver­no. L’ambizione di entrare nella roulet­te russa della politica italiana come il salvatore della patria. Le formule da sa­cerdote o da alchimista, con la compli­cità e la benevolenza dei «padroni» te­deschi, per tenere a bada quel dio ca­priccioso che gli uomini di finanza chia­mano spread . L’impresa era superiore a quella di uno Stramaccioni, ma il signore dei tec­nici sapeva che il potere si conquista sul campo. E lui, comunque, rappre­sentav­a l’ultima possibilità data agli ita­liani per mostrare un carattere teutoni­co. A pensarci bene non sembrava nep­pure impossibile. Monti sorrideva, Monti andava la domenica a messa pas­seggiando per le strade di Roma, Monti che deliziava gli italiani con «battute ar­gute da architetto postmoderno», un tecnico con la consapevolezza e la sim­pa­tia dell’omonimo idraulico dei vide­ogame. Supermario e i suoi fratelli im­pegnati a salvare la ragazza, l’Italia,dal­lo scimmione chiamato Donkey Kong. Il Monti di adesso non assomiglia né a un eroe né a un videogame. È invec­chiato in pochi mesi, come capita a chi si ritrova un giorno a rassicurare i sinda­cati, l’altro a incoraggiare Bersani,o Al­fano, o Casini, con un Paese che spera di uscire dalla crisi, ma non con i piedi davanti e quattro signori vestiti di scu­ro come compagni dell’ultimo viaggio. Monti si guarda intorno e fatica a fidar­si di qualcuno. Le rughe ora appesanti­scono il sorriso. Le parole diventano pietre, scatti di insofferenza e dentro monta la rabbia e la delusione di chi non si riconosce in un popolo di ingra­ti. Così trovano spazio le prime frasi smozzicate. «Se non era per me stava­mo come la Grecia ».Il rigore e l’austeri­tà mostrate come un atto di fede. La fi­ducia neo platonica nella sapienza mo­rale negli intellettua­li di professione, co­smopoliti, con lo stes­so slang che parlano alla city,con l’Europa tecnocratica come nuova America, fra­telli di sangue dello spirito di Francofor­te, della Sorbonne o dei bostoniani del Mit. Tutto questo con la convinzione che gli italiani hanno bi­sogno di una guida so­bria ma inflessibile. Eppure qualcosa non sta funzionan­do. Monti ha sottova­lutato quanto sa di sa­le la tassa sulla casa. Non è riuscito a im­maginare quanto questa crisi sta scartavetrando la pelle di chi fa impresa in bilico sui prestiti del­le banche. Non ha visto lo sgomento, la tragedia, le paure, il ristagno che circon­da artigiani e commercianti. Si è ritrova­to, non colpevole, a contare i nomi dei morti. E qui ha gridato che la Spoon ri­ver dell’economia reale italiana non gli appartiene. Le colpe sono indietro, nel passato, non di chi vuole salvare que­sto Paese. È stato forse il momento in cui si è sentito più ferito. È quello che racconta chi lo frequenta. Lì davvero ha perso tutta la sua sobrietà. Qualcosa in quel momento si è rotto. È comincia­ta la stagione delle ombre. La consape­volezza che Bersani non può tirarla troppo a lungo, e pensa sul serio al voto a ottobre, prigioniero nella foto di Va­sto e convinto di poter fare come Hol­lande in Francia. Il Pd che vira a Vendo­la non è più compatibile con il governo. Monti sente anche i mugugni che arri­vano dalla palude del Terzo polo, con i finiani sempre in fuga da qualcosa e Ca­sini che ha imparato a contare. Sente l’insofferenza del Pdl che preme su Al­fano per sganciarsi dal carro del tartas­satore. E il supertecnico comincia a sen­tirsi come un pre­mie­r a tempo trop­po presto determi­nato. Rilancia. Cer­ca sponde nel­l’amata Europa. Lamenta una ca­renza di élites, di politici che hanno ripudiato la politi­ca. Non fa nomi e scontenta tutti. Tranne poi rifu­giarsi in un vago: parlavo così in ge­nerale. Come fan­no quelli che ingo­iano rabbia e fini­scono per allude­re, per dire e non di­re. Quello che Mon­ti però non ha an­cora fatto sono i conti con il suo gover­no. A parte le pensioni il resto sono tas­se. Niente riforma del lavoro, niente welfare, sui tagli alla spesa si è inventa­to un tecnico al quadrato. E soprattutto niente fase due.

È questo l’errore più vi­stoso dei tecnici. Pretendere sacrifici e non lasciar intravedere un futuro. Co­me nelle peggiori battute dei film. «Ok, professore, quale è il piano B per uscire dal tunnel?». «Piano B? Nessuno ci ha mai parlato di un piano B». Appunto.

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