Politica

Guai se la tv di Stato si fa maestra di vita

diNo, non così. Così puzza. Puzza di dittatura culturale. Puzza di ricetta snob. Puzza di ipocrisia. Puzza di patenti che cadono dall'alto: tu sei trash, tu fai arte. Puzza di moralismo, di maternalismo, di statalismo. Non c'è nulla di più trash di voler togliere il trash dalla tv pubblica. Pensateci. Ogni volta che qualcuno si mette in testa di rieducare gli italiani fa danni, magari in buona fede (e non sempre) ma li fa. Cos'è il trash? È spazzatura, dicono. È violenza. È pessimo gusto. È chi urla. È chi sbraita. È chi conquista il pubblico assecondando i bassi istinti dell'uomo. È chi deraglia dai canoni di una aristocrazia estetica. Sono trash i vecchi programmi del pomeriggio di mamma Rai, quelli un po' cafoni, dove si raccontano le vite di personaggi più o meno famosi sbirciando dal buco della serratura. L'alternativa sono i programmi intelligenti, quelli che ti arricchiscono, ti formano, ti svezzano, ti educano. Appunto.
Qui si aprono due problemi profondi, radicali. Il primo è una domanda che ogni individuo si dovrebbe fare. Io mi posso fidare di uno Stato «maestro di vita»? L'istinto ti fa dire «mmm, pericoloso». E se io e lo Stato non abbiamo gli stessi gusti? Se trovo banali i film intelligenti? O se l'attuale gestione della cultura di Stato mi innervosisce perfino di più della vita in diretta? Un esempio. Vai al Maxxi e scopri che molte delle cose che fanno sono un insulto alla tua intelligenza. Non è una verità assoluta. Hai sentito un gruppo di finte bionde esclamare: «Oh, che cosa emozionante». Tu invece hai visto cose finte, spacciate male. È questione di gusti e di punti di vista. Quello per te è trash, spazzatura, ma ognuno è libero di mangiare i rifiuti che preferisce. È la sacra tolleranza sull'estetica del riciclaggio. Non si butta nulla.
Chi decide poi cosa è trash e cosa è intelligente? Il presidente della Rai? Aldo Grasso? Un referendum sulla rete come sogna Grillo? Il comitato di salute pubblica? Robespierre? L'accademia delle belle arti? Il signor sì, il signor no? I senatori a vita? Il club dei vecchi saggi? Aristotele? Giovanna Melandri? Pippo Baudo? Quelli della Valle occupato? Il sindacato nazionale della nettezza urbana? Dagospia? È un bel problema. In tutto questo resta fuori l'io che paga il canone. Quello che finanzia la Rai. Quello che non vuole essere rieducato. Questo signore, che in fin dei conti è l'azionista della tv pubblica, vorrebbe essere libero di scegliere. E magari in certe sere d'inverno quei programmi che puzzano di trash gli fanno compagnia. Sono gusti, appunto. Come quelli di chi va a vedere un mirabolante talk show sulla creatività al Maxxi e battezza arte tutto quel parlarsi addosso del tipo: la creatività c'est moi. A questo signore che gli diciamo? Paga e stai zitto. Ora ti spieghiamo noi cosa vuol dire essere intelligenti. Ecco, questo signore magari si rassegna a non vedere più i programmi che ama, tanto in certe sere d'inverno un programma vale l'altro, ma sulla storia che non è abbastanza intelligente non ci sta. La prende male e magari poi non solo non paga più il canone, ma visto che ci sta non va neppure a votare.
Forse la tv pubblica si dovrebbe accontentare di fare il suo mestiere. È già tanto. È già un miracolo. L'obiettivo della Rai, secondo Anna Maria Tarantola, è invece questo: «Le nostre reti devono essere uno strumento per un cambiamento sociale positivo». Non fa televisione, ma politica. Forse è per questo che i partiti da una vita non fanno politica ma si preoccupano della tv. È un confuso cambio di ruoli. Le elezioni servono a decidere chi va in tv, l'Auditel chi va in Parlamento.

Bastava dirlo.

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