
Un insegnante campano ha augurato a una bambina di sette anni di fare la fine di Martina, la ragazza quattordicenne uccisa a sassate nei giorni scorsi dal fidanzatino geloso. La bambina, che di nome fa Ginevra, dovrebbe morire perché colpevole di essere la figlia della Presidente del consiglio Giorgia Meloni. Qualsiasi parola sarebbe inadeguata a commentare il fatto, anche il più feroce degli insulti non basterebbe a definire il soggetto autore di questo abominio. Ma non è lui il cuore della questione, lui è solo l'ultimo anello di una catena inanellata dalla sinistra dal giorno, quasi tre anni fa, che Giorgia Meloni vinse le elezioni. Da allora politici, giornalisti e intellettuali organici alla sinistra sono andati ben oltre il loro legittimo diritto-dovere di fare opposizione e
hanno scatenato una campagna di odio personale contro la premier da fare paura per ferocia e falsità. Problemi loro, ovvio, ma vista da fuori osservo che stiamo assistendo all'autodistruzione morale ed etica di ciò che è rimasto di una comunità politica e culturale, la sinistra, che nonostante i ripetuti fallimenti si sente ancora superiore a qualsiasi altra, che intende la democrazia roba sua e non si fa alcuno scrupolo di calpestarne le regole qualora confliggano con i propri interessi. Mi auguro che la piccola Ginevra sia tenuta all'oscuro di quello che è successo, i bambini come noto fanno domande semplici ed esigono risposte altrettanto semplici e chiare. Quale potrebbe essere la risposta alla domanda: «Mamma, quel signore mi vuole male perché sono figlia tua?». Ammetto: io non saprei darla ma so che mettere una madre, qualsiasi madre, anche solo in via ipotetica in questa condizione è già in sé cosa criminale.
Giunti a questo punto di degrado, meglio sarebbe che una domanda, guardandosi allo specchio, se la pongano quei politici e quei giornalisti adulti che tutti i giorni aizzano i loro seguaci ad azzannare Giorgia Meloni, che contro la sua persona scatenano piazze sia vere che virtuali, che poi uno disposto a farlo lo si trova sempre: «Per quale motivo sono caduto così in basso?».