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I familiari delle vittime di mafia contro Ingroia: "Perché frena le indagini?"

I parenti dei morti di via dei Georgofili contro il pm, che ha dichiarato che l’indagine sulla trattativa Stato mafia potrebbe fermarsi davanti a una superiore "ragion di Stato"

I familiari delle vittime di mafia contro Ingroia: "Perché frena le indagini?"

Per loro è sempre stato un eroe. Lo hanno sempre considerato il pm che più di tutti ha cercato di andare oltre gli esecutori materiali delle stragi. E forse è per questo che l’attacco dei familiari delle vittime di mafia al procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, è ancora più pesante. Sì, perché all’associazione familiari delle vittime di via dei Georgofili - la strage del 27 maggio del ’93 a Firenze in cui morirono cinque persone, tra cui una bimba di nove anni e una neonata di appena 50 giorni - la dichiarazione del pm, che in un’intervista a Repubblica dice provocatoriamente che l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia potrebbe fare un passo indietro in nome di una superiore «ragion di Stato», non è piaciuta affatto. Di qui una nota durissima, della presidente, Giovanna Maggiani Chelli. Che, in nome dell’accertamento della verità, non fa sconti a nessuno. Neanche al giudice pupillo di Paolo Borsellino icona dell’antimafia.

«Siamo costernati – scrive in una nota la presidente Giovanna Maggiani Chelli a nome dell’associazione – davanti a magistrati che hanno gettato il sasso nello stagno e oggi lasciano titolare dai giornalisti: “Se c’è stata ragion di Stato torneremo indietro”. Abbiamo sempre avuto dubbi che la Procura di Palermo ci avrebbe portato da qualche parte, oggi quei dubbi si sono trasformati in angosce. Non può esistere – continua la presidente dell’associazione delle vittime di via dei Georgofili – nessuna valida ragion di Stato, procuratore Antonio Ingroia, che possa fermare le indagini sulla trattativa Stato-mafia. Di cosa stiamo parlando, gentilissimo Procuratore? Quale ragion di Stato? Per esempio di sporchi traffici illegali, aggirando le leggi, forse a livello statale? O cosa d’altro, per l’amor di Dio, giustificherebbe una Sua frenata su tutto il fronte, compresa la partenza per il Guatemala a cercare giustizia?». Parole pesantissime. Tanto più perché provenienti proprio da chi a Ingroia ha sempre dato sostegno e che adesso si sente tradito».
Nell’intervista il procuratore aggiunto di Palermo invita la politica a uscire allo scoperto: «Sulla vicenda della trattativa – chiede provocatoriamente – c’è una ragione di Stato che impedisce l’accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale? Se è così, dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica». Ma Ingroia va anche oltre, e aggiunge: «Di fronte a una legge, o a una commissione di inchiesta politica, che ribadisse la ragione di Stato dietro alla trattativa, la magistratura non potrebbe che fare un passo indietro».

Di qui la levata di scudi dei familiari delle vittime. E anche di qualche pezzo della sinistra. Su Twitter il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti tuona: «L’intervista di Ingroia è semplicemente sconcertante. Cercare di uscire dai propri errori tirando in ballo la ragion di Stato, c’entra come i cavoli a merenda. Gli errori stanno nella violazione degli articoli 90 e 96 della Costituzione, non nella ragion di Stato. Comunque almeno sull’articolo 90 ci penserà la Corte Costituzionale grazie al conflitto di attribuzione». Il riferimento è al ricorso alla Consulta presentato dal Quirinale per le telefonate tra l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, intercettate, nell’ambito dell’inchiesta, dalla procura di Palermo.

Anche il leader Udc Pier Ferdinando Casini bacchetta il pm antimafia: «Ingroia è uomo troppo intelligente per non capire che l’evocazione della “ragion di Stato” contenuta nella sua intervista a La Repubblica, non può che essere letta come l’ennesima provocazione da lui rivolta ai vertici istituzionali. Qui non c’è nessuna ragione di Stato da proclamare, né alcun segreto di Stato da richiamare: non ve n’è bisogno e nessuno lo hai mai fatto. C’è solo da invocare il rispetto delle regole, che chiunque è chiamato ad osservare; in particolare chi dice di operare per la verità che gli italiani attendono.

Mi auguro - conclude Casini - che si voglia riflettere con più serenità e finisca l’epoca delle provocazioni e delle polemiche che purtroppo si continua ad alimentare» .

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