
In molte città europee, e in Italia in particolare, il dibattito sull’Islam non riguarda più soltanto la libertà religiosa, che è un diritto garantito a tutti, ma anche la capacità di conciliare l’accoglienza con il rispetto delle regole dello Stato ospitante. E tengo a ribadirlo con chiarezza: questo non ha nulla a che vedere con il razzismo. Che sia ben chiaro anche a qualche “mente illuminata”. È ciò che è accaduto e che continua ad accadere sia in Italia che in Europa.
Sempre più spesso non è l’ospite ad adattarsi alla casa che lo accoglie, ma la casa a dover modificare le proprie abitudini per compiacere l’ospite. È la dinamica che si manifesta quando gruppi radicali, soprattutto di matrice islamica, chiedono la rimozione della carne di suino dalle mense scolastiche, la modifica di programmi culturali o la cancellazione di simboli cristiani dalle scuole e dagli uffici pubblici. In nome della tolleranza, l’Europa finisce così per sacrificare elementi identitari che fanno parte della propria storia.
Un altro tema molto delicato, da non sottovalutare, riguarda la costruzione dei luoghi di culto. In Italia il problema non è tanto la legittimità di edificare spazi religiosi, quanto il fatto che, in moltissimi casi, questi nascano in maniera abusiva o mascherata sotto forma di “associazioni culturali”. Dietro insegne anonime o attività di facciata si celano sale di preghiera dove viene predicato il Corano in lingua araba, incomprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani e degli europei. Questo non rappresenta soltanto un problema legale, ma anche di trasparenza: un cittadino ha il diritto di sapere cosa viene insegnato e proclamato in uno spazio religioso che insiste sul territorio nazionale ma resta chiuso e opaco.
Negli ultimi anni diverse inchieste giornalistiche e operazioni delle forze dell’ordine hanno portato alla luce situazioni di questo tipo. A Milano, nel 2016, la polizia ha chiuso una moschea abusiva in via Cavalcanti, frequentata secondo le indagini da predicatori radicali. A Brescia, nel 2018, i carabinieri hanno smantellato un centro culturale che in realtà era una moschea clandestina, con testi e materiale di propaganda jihadista. A Perugia, nel 2019, un imam è stato espulso per istigazione alla violenza e al terrorismo. A Roma, in più occasioni, la Guardia di Finanza ha sequestrato immobili utilizzati come centri di preghiera non autorizzati e privi di controlli fiscali e urbanistici.
Questi episodi mostrano come, accanto a moschee regolari e monitorate, esista una rete sotterranea di luoghi di culto che sfugge a ogni forma di controllo e che può diventare terreno fertile per la radicalizzazione. È proprio qui che si annida il pericolo maggiore: piccoli gruppi isolati, non legati a strutture ufficiali, che alimentano il fanatismo e possono trasformarsi in focolai di odio e violenza.
In questo contesto è utile ricordare le riflessioni di Magdi Cristiano Allam. Nato in Egitto e musulmano, si convertì al cristianesimo nel 2008, durante la veglia pasquale celebrata da Papa Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro: un evento clamoroso e mediatico che suscitò grande attenzione internazionale.
Dopo il battesimo, Allam dichiarò pubblicamente di essere stato minacciato di morte da gruppi islamici estremisti. In particolare spiegò di aver ricevuto minacce già da anni da ambienti fondamentalisti musulmani, a causa delle sue posizioni critiche verso l’Islam radicale. Dopo la conversione, tali minacce aumentarono: venne bollato come “apostata”, termine con cui alcuni gruppi islamici definiscono chi abbandona la fede, giustificando persino la pena di morte. Non si trattò di singoli individui identificabili, ma di una galassia di realtà radicali che lo accusavano di aver tradito la religione musulmana e di aver “offeso l’Islam” con le sue posizioni e con la sua conversione al cristianesimo.
L’ex giornalista e parlamentare ha più volte ripetuto che «l’Islam moderato non esiste», denunciando il rischio che dietro l’immagine rassicurante di un Islam integrato si nasconda una pressione costante volta a trasformare la società ospitante. Per Allam, l’Islam non sarebbe soltanto religione, ma anche sistema politico e giuridico che, una volta radicato in Europa, tenderebbe a imporre le proprie regole in conflitto con quelle dello Stato laico.
È necessario ribadire un principio fondamentale: chiunque scelga di vivere in Italia deve rispettarne le leggi, le regole e le tradizioni. E non si tratta di una questione che debba dividere destra e sinistra: qui non parliamo di ideologie politiche, ma di rispetto delle regole, delle tradizioni e, soprattutto, di sicurezza nazionale. Un tema che riguarda tutti i cittadini, indipendentemente dal loro colore politico o dalla loro religione.
E, a titolo personale, credo sia giusto sottolineare che io, in prima persona, mi schiero sempre convintamente per la libertà: ogni persona, di qualunque religione, sesso o razza, deve poter esprimere democraticamente il proprio pensiero, costruirsi il proprio luogo di culto rispettando però le regolamentazioni edilizie, i permessi degli enti preposti e le leggi, e vivere
secondo le proprie convinzioni. Ma questa libertà deve sempre coniugarsi con il rispetto delle leggi e delle regole del Paese che la ospita. Solo così la convivenza può essere autentica e non trasformarsi in una resa culturale.