Milano - Per i giudici che l'altro giorno lo hanno condannato per il caso Fassino-Unipol, Silvio Berlusconi dovrebbe andare in galera. La sentenza che gli infligge un anno di carcere per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio, infatti, non riconosce al Cavaliere il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante che fino a oggi Berlusconi sia tecnicamente un incensurato, non essendo mai passata in giudicato nessuna condanna a suo carico. Il giorno che la condanna divenisse definitiva, astrattamente parlando, l'ex premier la dovrebbe espiare.
Il dettaglio, che era un po' sfuggito all'attenzione nella rapida lettura del dispositivo in aula da parte del presidente del tribunale Oscar Magi, salta agli occhi dalla lettura della copia depositata. Berlusconi non finirà in carcere a scontare la pena, e per due motivi: il primo è che il reato è stato commesso nel dicembre 2005, e quindi la pena è interamente cancellata dall'indulto varato dal Parlamento sei mesi più tardi; il secondo, è che tra pochi mesi, verso la metà di settembre, il reato di violazione del segreto d'ufficio sarà prescritto, e quindi il processo d'appello non riuscirà nemmeno ad iniziare.
Ma la decisione del tribunale di negare al Cavaliere la condizionale è interessante per capire la valutazione complessiva che i magistrati milanesi fanno del personaggio Berlusconi e del trattamento giudiziario da riservargli. La sospensione condizionale non è un diritto automatico del condannato, ma è subordinata tra l'altro alle valutazioni del giudice sulla sua pericolosità sociale. In attesa di leggere le motivazioni (che verranno depositate solo tra tre mesi) è facile ipotizzare che sia stata proprio una valutazione assai negativa su questo fronte a portare il tribunale a negare la condizionale. A Silvio Berlusconi, tra l'altro, il verdetto rifiuta anche le attenuanti generiche.
La sentenza, insomma, sembra muoversi nel solco di quella inflitta a Berlusconi nell'ottobre 2012 per i diritti tv, con la condanna a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Nelle motivazioni lette in diretta di quella sentenza all'imputato veniva contestata una «capacità a delinquere» che portò a rifiutargli le attenuanti.
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