«Poi il momento arriva...». Ed è un «momento» che non c'entra coi ritmi scanditi del tempo, ma segue i palpiti dall'anima. L'ora X delle verità maledette per Lapo Elkann è scattato a 36 anni: troppi per chi, come lui, è abituato a bruciare le tappe; l'età giusta per chi, come «l'altro» lui, si guarda indietro per ripartire. È una confessione pesante questa di Lapo, che fa a cazzotti con l'immagine leggera di un Elkann che spesso ci divertiamo a descrivere come un mezzo picchiatello, abituato a dire (spesso sbagliando i congiuntivi) e a fare cose «stravaganti» (fateci caso: una cosa stupida, fatta da un ricco, diventa subito «stravagante»; la stessa cosa, fatta da un povero, rimane semplicemente stupida).
Per aprire l'armadio delle ombre, Lapo ha scelto Il Fatto Quotidiano. E ha fatto bene, perché l'intervista pubblicata ieri ha saputo toccare le corde giuste, senza mai rischiare di spezzarle. Esito tutt'altro che scontato, visto che il titolo della conversazione tra Lapo Elkann e i giornalisti Beatrice Borromeo e Malcom Pagani era: «Vi racconto la mia vita con il male». Non quello di un ricoverato in ospedale, ma quello - ancora peggiore - di un «malato» che da 36 anni vive nell'angoscia di un ricordo bastardo: «Dai 13 anni, in collegio, ho vissuto cose brutte. Parlo di abusi fisici. Sessuali». Il nipote di Gianni Agnelli racconta il passato mai svelato prima, se non alla sua coscienza di bambino, poi di ragazzo, infine di adulto.
Ma ora per Lapo è arrivato il «momento». Liberarsi dal «male» è difficile. Lui ci prova, regredendo, come si fa sul lettino dello psicanalista. Lapo è ancor meno di un adolescente quando patisce quelle «cose dolorose». Non è l'unica vittima: «È capitato anche ad altri ragazzi che hanno vissuto drammi simili, senza riuscire ad affrontarli». Com'è capitato al suo miglior amico, che è stato in collegio con lui per quasi 10 anni, vivendo quello che ha vissuto lui: «Si è ammazzato un anno e mezzo fa. Non ne ho mai parlato prima. Ma ora voglio che questa storia serva a qualcuno». In che modo? «Sto pensando a una fondazione. Voglio aiutare chi ha passato quello che ho passato io. Parlare è giusto, ma facendo qualcosa di utile, di positivo». Che impatto hanno avuto queste esperienze nella tua vita? gli chiedono i cronisti del Fatto Quotidiano. E lui: «Tu puoi essere una persona solare e positiva, ma certe cose, quelle cose, riescono a conficcarti il male dentro. Però io non mi considero una vittima, le vittime sono altre». E poi: «Ho dovuto fare un lavoro enorme su me stesso, anche vedere cose che non avevo voglia di vedere. Non nasconderle più. Non nascondermi. Ho dovuto essere sincero con me stesso e con gli altri».
Parole lontane anni luce dal Lapo avatar tutto chic&choc, quello col Suv mimetico parcheggiato sui binari del tram. Oggi facciamo conoscenza con l'anti-Elkann, quello che racconta che «avrebbe potuto fare di più». Il riferimento è a Edoardo, il cugino morto suicida: «Certe cose dure che ha vissuto, oggi le capisco ancora meglio di ieri». Edoardo con le spalle ricurve, forse sotto la pressione di un padre ipertrofico. Carisma - quello dell'Avvocato - vero o presunto, comunque troppo ingombrante: «Era il mio modello (...). Oggi non ho più nessuna voglia di essere come lui». Famiglia difficile, la sua: «Non è vero che non parlo con mia madre. Non sono fiero di certe cose, a volte violente, che ho detto su di lei. Ma ci siamo confrontati. Di certi argomenti oggi non parliamo, ma il rapporto c'è».
Ma Lapo oggi pensa soprattutto a una famiglia da costruire, in proprio: «Per me farcela significa conquistare una vita normale, avere dei bambini. Non vedo la mia vita senza moglie e figli». Gli errori, il buio sono alle spalle. In una notte maledetta stava per lasciarci la pelle, come il più disperato dei tossici. Poi la depressione, la lenta rinascita, l'aiuto di Henry Kissinger: «Dicono di lui che è un figlio di puttana (...). Ma con me è stato leale e paterno. Mi ha aiutato moltissimo, è stato tra i primi a tendermi la mano». E Dio solo sa quanto ne avesse bisogno.
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