Bianco e nero. Uno è un manager in maglione blu con il cuore in Abruzzo e la testa a Detroit, l'altro è un centravanti con l'accento bresciano che sfida l'Europa come un bronzo di Riace. Tutti e due qui in Italia si beccano insulti e bestemmie, etichette e parole spicce da tutti gli opinionisti da bar e dai sacerdoti del buoncostume, quelli che sputano giudizi e sentenze e riconoscono una sola verità, la loro. Tutti e due sparigliano e spaccano per quello che dicono, quello che pensano, quello che fanno. Il bianco, dicono, è un capatàz, uno che vuole affamare gli operai, un padrone delle ferriere che caccia i sindacalisti. Marchionne il nuovo nemico di tutte le classi. Non piace all'aristocrazia industriale che gli rimprovera i colpi di testa. Non piace agli intellettuali che sentono puzza di outsider. Non piace chiaramente alla Cgil, che preferiva i padroni con la erre moscia. Marchionne che deve rilanciare il destino della Fiat, con la crisi nel motore e l'obbligo di lasciare le ruote nel pantano italiano. È come vincere a Monopoli avendo come carte solo «vicolo corto» e «vicolo stretto». Per lui è un mezzo miracolo, per gli altri un dovere. Si è convinto che l'unica speranza è scardinare i vincoli che frenano la produzione e sacrificare tutto quello che non può salvare. E così un marchio storico come la Lancia viene riciclato come utilitaria e il futuro di Cassino o di Melfi sta lì in bilico. Non è detto che sia la scelta migliore, di certo non gliela perdoneranno mai.
L'altro, il nero, è stato sommerso da versi ignobili nei migliori stadi italiani. Non gli hanno perdonato la guasconeria, né il talento né la pelle. Non gli hanno perdonato i vent'anni. È il ragazzino che ha buttato la maglia durante un'impresa, allora, forse troppo pesante per lui. È quello con un solo neurone nel cervello. È l'ignorante, l'indolente, il vizioso, quello che non esulta quando segna, quello che fa scoppiare la casa con i petardi, quello che abbassa la testa solo quando lo sgrida la mamma, quello che non ha rispetto per nulla, però si becca in silenzio i calci di Materazzi e la superiorità indiscussa della pulce Messi. Ma dà fastidio che tutti gli altri è abituato a guardarli negli occhi. Non per sfotterli, ma per quell'orgoglio che viene da lontano e la consapevolezza che uno come lui, stazza e talento, a quest'età qui da noi non si era ancora mai visto. Il nero che ama l'azzurro dell'Italia, perché è qui che è nato e italiano si sente. Il ragazzotto che sta diventando padre e confessa che a suo figlio non sarà in grado di negare nulla, perché comunque tutti i giorni devi fare i conti con la cicatrice di un padre che ti ha abbandonato. E certe cose non passano mai. Il numero 45 a cui l'altra Manchester ogni maledetta domenica canta «Oh Balotelli» e pazienza se ogni tanto fa infuriare il ciuffo di Mancini. Perché al City quelli come lui sono sempre piaciuti. Balotelli simbolo di una generazione cinica e barbara, solo perché quando piange lo fa di spalle e poi si gira e ti guarda a muso duro. Strafottente. Come se davvero non gli importasse nulla di nulla.
Eccoli, allora, il bianco e il nero. Due a cui l'Italia non perdonerà mai nulla, perché certe cose si capiscono subito e loro sono quella razza d'italiani che «alla fine dei conti se la sono cercata». Forse perché si sono sempre rifiutati di imparare bene la parte.
Ora capita che proprio questi due siano il simbolo dell'Italia vista da fuori. Il bianco che viene citato e difeso dal presidente nero degli Stati Uniti d'America. Marchionne nello spot di Obama, come quello che non svende la Chrysler alla Cina, quello che non si arrende, il manager di frontiera, l'abruzzese con la capa tosta che sta insegnando a Detroit, la capitale dei motori, come si fanno le macchine. L'altro, il nero, che mostra il volto e la cresta da Otello shakespeariano, il Moro di Brescia, sulla copertina del Time, come personaggio dell'Italia che cambia, multietnica e patriottica, senza il camper e senza il loden, senza gli occhi infiammati di Grillo, senza cantare la canzone che cantano tutti. È l'Italia in bianco e nero. Non quella dove tutto per forza è bianco o è nero, dove ti santificano o ti dannano ogni volta che cambia il vento. È l'Italia vista da un'altra prospettiva, con il chiaroscuro che ti aiuta a dare spessore alle figure e non le riduce a profili piatti da etichettare come buoni o cattivi. È l'Italia dove esistono anche i dubbi, gli errori e le cadute e non solo le verità assolute e gli anatemi che ti buttano in faccia certi santoni.
Il nero e il bianco. Balotelli e Marchionne. Quello senza cervello e il capatàz. C'è qualcosa che non torna. Qui da noi sviliti e deprecati, fuori simboli e copertine. Qualcuno, qui o là, si sta sbagliando. Indovinate chi?
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