"Mascherine di carta e zero aiuti": così lo Stato abbandonó Bergamo

“Era tutto pronto ma mancava solo la firma.” La zona rossa mai arrivata, i militari già schierati, i sindaci lasciati soli. Così la Val Seriana fu travolta dall’inerzia dello Stato.

"Mascherine di carta e zero aiuti": così lo Stato abbandonó Bergamo

Nessuna mascherina, nessun piano, nessuna informazione. Solo paura, improvvisazione e silenzio. È questa l’Italia che Camillo Bertocchi, sindaco di Alzano Lombardo (Bergamo), ha riportato davanti alla commissione d’inchiesta Covid, descrivendo i giorni in cui la Val Seriana veniva travolta dal virus mentre lo Stato rimaneva immobile. Le sue parole sono un pugno allo stomaco, la cronaca nuda e cruda di una comunitá lasciata sola nel momento peggiore, con le istituzioni paralizzate, le prefetture mute e il Governo bloccato a un passo da una decisione che non arrivò mai. «Sentire parole come “Consip” o “approvvigionamento” mi fa venire i brividi. Noi non avevamo niente. Niente di niente. Eravamo riusciti a recuperare delle mascherine di carta da dare ai fornai che vendevano il pane. Erano una situazione apocalittica. Nessuno ci ha dato niente. Le mascherine le abbiamo recuperate noi da gente che ce le donava. Il mio ufficio era diventato un magazzino. Abbiamo recuperato centomila dispositivi di protezione individuale in un mese. Noi distribuivamo ai cittadini. Magari noi distribuivamo alla protezione civile e agli ospedali. Questa era la situazione nei nostri territori.» Il suo racconto è una fotografia spietata della prima ondata: i Comuni ridotti a punti di raccolta improvvisati, i sindaci trasformati in magazzinieri e volontari, la popolazione costretta a difendersi con mascherine di carta. Mentre da Roma non arrivava nulla. “Il mio ufficio era diventato un magazzino”, ripete Bertocchi, e in quella frase si condensa l’intera impotenza di un territorio abbandonato. Un caos che andava ben oltre la mancanza di mezzi: mancavano anche le informazioni. «I sindaci non avevano contezza della situazione epidemiologica. Siamo stati richiamati più volte (e sono uscite anche delle circolari prefettizie) sull’impossibilità di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti su base comunale.» La ricostruzione che il sindaco Bertocchi fa rispondendo alle domande del senatore Antonella Zedda (FdI) sono da pelle d’oca. Chi era in prima linea non sapeva nulla. Tutto doveva passare dal Governo. E proprio da lì, da Roma, arrivavano le rassicurazioni: la zona rossa si sarebbe fatta, era solo questione di ore.

«La zona rossa doveva deciderla il Governo nelle indicazioni che ci erano state date. E dalle indicazioni che la prefettura ci ha dato, anche per telefono, perché in forma scritta non ci hanno
mai dato purtroppo nulla, tra il 4 ed il 6 di marzo ci è stato assicurato che era tutto pronto ma mancava solo la firma. È vero perché c’erano i militari, che avevano già anche i turni assegnati. Per cui si era in attesa di questa decisione. Tanto è vero che io chiesi al prefetto se mi avesse avvisato almeno un’ora prima in modo da potersi organizzare. La zona rossa la si aspettava. Poi probabilmente si è capito che l’estensione del contagio era molto più ampia di quella dei due comuni di Alzano e Nembro.»

Era tutto pronto: militari schierati, turni organizzati, disposizioni pronte a partire. Mancava solo la firma. Una firma che non arrivò mai. E mentre il decreto presentato da Speranza il 4 marzo 2020 restava fermo sulla scrivania di Giuseppe Conte, la curva dei contagi saliva vertiginosamente, gli ospedali collassavano, e la Val Seriana diventava il simbolo mondiale dell’emergenza Covid. «Nessuno ha mai contattato noi sindaci dal CTS o dall’Istituto Superiore di Sanità. Sapevamo che l’Istituto Superiore di Sanità stesse analizzando la situazione, ma non sapevamo neanche su quali comuni. Fino al giugno 2020 nessuno di noi ha saputo che l’Istituto Superiore di Sanità il 5 marzo si era espresso favorevole alla zona rossa.» Un dettaglio che, con il senno di poi, pesa come una condanna. Il 5 marzo — quando i sindaci ancora aspettavano — l’Istituto Superiore di Sanità aveva già dato parere favorevole alla chiusura di Alzano e Nembro. Ma quella decisione restò segreta per mesi. Nessuna comunicazione ufficiale, nessun contatto, nessun avviso. Le comunità più colpite d’Italia non vennero nemmeno informate che il loro isolamento era stato raccomandato e poi, inspiegabilmente, sospeso. Le parole di Bertocchi ricostruiscono così l’architettura del disastro: un sistema paralizzato tra burocrazia, timori politici e confusione istituzionale. Da un lato i sindaci bloccati, dall’altro gli esperti che chiedevano la chiusura, nel mezzo un Governo che sapeva, ma non agì. Mentre la popolazione continuava a infettarsi, a morire, a implorare aiuto. “Eravamo riusciti a recuperare delle mascherine di carta”, dice ancora Bertocchi, e ogni parola sembra una denuncia. In quelle ore drammatiche, Alzano e Nembro erano diventati due comuni sospesi: con i militari già pronti e la zona rossa già decisa, ma mai firmata. Nessuno ha mai spiegato perché. Oggi, cinque anni dopo, la domanda resta intatta, più pesante che mai: chi fermò la zona rossa? Perché, quando era tutto pronto, nessuno firmò? Quante vite avrebbe salvato una decisione presa 48 ore prima? Nessuno, ancora oggi, ha dato una risposta chiara.

Ma le parole di Camillo Bertocchi rimangono come una testimonianza indelebile, il simbolo di una ferita che non si è mai chiusa: “Era tutto pronto ma mancava solo la firma.”

Una frase semplice, ma terribile. Perché in quella firma mai messa c’è il peso di una tragedia che poteva — e doveva — essere evitata.

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