La Meloni tiene Calenda fuori dalla "tenda"

La strategia della Premier di evitare che tutta l’opposizione si ricomponga in un unico schieramento sta dando qualche frutto

La Meloni tiene Calenda fuori dalla "tenda"
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È un grande movimentare, ma alla fine con i tempi della politica che non sono mai brevi, uno dopo l’altro gli attori del «centro» del centro-sinistra stanno entrando sotto «la tenda», la nuova espressione del vocabolario progressista coniata per accompagnare il «campo largo». Chi per ora resta fuori è Carlo Calenda che, corteggiato da Giorgia Meloni, ha deciso di non presentarsi per nulla alle elezioni delle Marche, l’unica regione contendibile tra i due schieramenti nel voto d’autunno e che probabilmente ne determinerà il segno. Azione non sceglierà tra l’attuale governatore di centro- destra Acquaroli e lo sfidante del centro- sinistra Matteo Ricci. «Ma qualcuno dei nostri - confida uno degli organizzatori di Azione, Ettore Rosato appoggerà Acquaroli».

È il segno che la strategia della Premier di evitare che tutta l’opposizione si ricomponga in un unico schieramento sta dando qualche frutto. «Calenda - osserva Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione del partito della Meloni - fa bene a non farsi contare per mantenere intatte le sue ambizioni nazionali. E a noi ci fa un favore. Nell’ultimo sondaggio siamo tre punti sopra nel voto delle Marche». Ma l’obiettivo vero della Premier sono le politiche: anche lì, con un nuova legge elettorale che consenta la sopravvivenza di terzi attori tra i due poli, la Meloni punta a creare le condizioni per favorire una corsa solitaria di Calenda visto che difficilmente potrà arruolarlo nello schieramento di centro-destra. «Giorgia premier potrebbe anche andare - confida Rosato - ma finché ci saranno filo-putiniani come Salvini e Vannacci noi non potremo mai andare con il centro-destra. Come non possiamo neppure schierarci con i putiniani alla Conte che albergano nello schieramento di sinistra. Per cui alla fine andremo da soli».

Su un epilogo del genere la premier ci metterebbe la firma fin d’ora. Anche perché, come dicevamo, alla fine lo schieramento di centro-sinistra (a parte l’interrogativo Calenda) si presenterà unito alle politiche. È un processo lento ma inerziale. E il collante sarà quello di non assumersi la responsabilità di dare altri cinque anni di governo al centro-destra: sarebbe la prima volta dal 1994, cioè dall’avvento del maggioritario, che una coalizione resta nella stanza dei bottoni per due legislature consecutive. A quel punto Nanni Moretti non direbbe più «con questi dirigenti non vinceremo mai», ma semmai «con questi dirigenti perderemo sempre».

Ecco perchè fioccano le iniziative e si moltiplicano i protagonisti in campo. L’ex-direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, Ruffini, sta mettendo in piedi i suoi comitati ed è diventato editorialista dell’ Avvenire come Romano Prodi prima delle politiche del 1996 del TG3. Marco Tarquinio si è inventato la sua rete di comitati pacifisti. Mentre c’è una lotteria sul personaggio che diventerà il federatore della gamba moderata del centro-sinistra. Dario Franceschini ha fatto il nome di tre sindaci: Silvia Salis di Genova, Gaetano Manfredi di Napoli e Giuseppe Sala di Milano. Mentre Matteo Renzi si ferma ai primi due.

Sono nomi che vanno di moda secondo le stagioni come le collezioni degli stilisti. Ora è il momento di Manfredi. Pierferdinando Casini che è un esperto bookmaker gli assegna un’alta quotazione. Il ministro dell’Interno Piantedosi al matrimonio di Clemente Mastella lo ha salutato come «il grande sfidante». Ma mancano ancora poco meno di due anni alle elezioni. Avremo ancora sette stagioni con relativi nomi. Quello che appare chiaro fin d’ora è che il lento processo di riaggregazione andrà avanti.

Dice Igor Taruffi, responsabile dell’organizzazione del Pd che qualcuno paragona al pedagogista sovietico Makarenko e altri all’ideologo Suslov, sillabando il pensiero della Schlein: «Il socialismo si conquista un passo alla volta e noi siamo testardamente unitari».

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