Una fotografia in bianco e nero ritrae un uomo ferito all’interno di un’auto e un altro che tenta di soccorrerlo. Lo scatto in questione risale al 6 gennaio del 1980 e quel ferito è Piersanti Mattarella, all'epoca presidente della Regione Siciliana. Al suo fianco il fratello Sergio cerca di estrarlo dalla berlina crivellata di colpi - otto per la precisione - sparati durante un agguato mafioso che avrebbe cambiato per sempre la storia della famiglia e anche quella del Paese. Uno scatto che porta la firma della fotogiornalista Letizia Battaglia, che ha raccontato quarant'anni di guerra civile siciliana.
Quel giorno, festa dell’Epifania, i Mattarella stavano andando a messa. In via Libertà, davanti al civico 147, la loro auto venne affiancata e colpita. Piersanti, 44 anni, era senza scorta: la raffica di proiettili non gli lasciò scampo. Morì poco dopo, sotto gli occhi della moglie e dei figli. A Palermo, in una città che già da tempo viveva l’escalation di violenza mafiosa, l’omicidio del presidente della Regione tracciò un solco.
Sergio Mattarella, all’epoca professore di diritto, si trovò improvvisamente di fronte a una scelta che avrebbe segnato la sua vita. Da quel giorno la politica smise di essere per lui solo una dimensione familiare e divenne un impegno personale. Negli anni successivi intraprese un percorso che lo portò ai vertici delle istituzioni italiane, fino all’elezione al Quirinale, dove la memoria di quel tragico episodio non lo ha mai abbandonato.
L’assassinio di Piersanti Mattarella fu uno dei primi delitti eccellenti di quella stagione di sangue che segnò la Sicilia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. La mafia iniziò a colpire figure di alto profilo: dai politici ai magistrati, passando per gli investigatori e le forze dell'ordine. Tra il 1979 e il 1982, Palermo vide cadere il capo della Mobile Boris Giuliano, il segretario provinciale della Democrazia Cristiana Michele Reina, il dirigente comunista Pio La Torre e il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa.
A distanza di decenni quella fotografia in bianco e nero continua a raccontare non solo un delitto di mafia, ma anche l’inizio di un cammino civile e istituzionale che da Palermo sarebbe arrivato fino al cuore della Repubblica.
Uno scatto che oggi assume ancora più forza considerando la svolta clamorosa nelle indagini sul delitto: l’ex poliziotto Filippo Piritore è infatti finito agli arresti domiciliari per il suo ruolo nel depistaggio delle indagini. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe fatto sparire una delle prove dell’inchiesta.