Che fine ha fatto Fabrizio Barca? Le ultime tracce parlano del suo passo indietro. Niente scalata al partito, per adesso. In attesa di capire tutte le mosse di Renzi. Il suo cognome però in queste ore rimbalza nel sottobosco politico romano e crea malumori. Questa storia ha a che fare con le strategie di Fabrizio, gli equilibri del Pd e l'identità della sinistra. Tutto comincia con Ignazio Marino. Il nuovo sindaco deve scegliere la sua squadra. Chi pensa che sia facile si sbaglia. Non è che Marino può dire voglio questo qui e quest'altro là e tutto si incastra. Non funziona così. Prima di tutto perché il sindaco ha cominciato a chiamare una serie di personaggi e la risposta è stata: mi dispiace, mi fa piacere, ma non me la sento. Le poltrone lusingano, ma di questi tempi sono un trono di spade. Quando nel partitone nazionale si sono accorti delle difficoltà del sindaco borbottano: ci pensiamo noi. Nel senso che c'è tanta gente da piazzare e una poltrona è sempre gradita. Così su Ignazio sono cominciati a piovere nomi e candidature. Mica pressioni, chiamiamoli consigli amichevoli. Il risultato è una lotta con il coltello tra i denti fra le varie correnti e fazioni. E qui si arriva a Barca, o meglio alla sorella. Flavia Barca è il nome pensante che circola per la poltrona di assessore alla Cultura.
La dottoressa Barca è donna di intellighenzia. Lavora in una cattedrale del pensiero come la Fondazione Rosselli. Lì dove nel comitato scientifico c'è Amartia Sen (in ogni fondazione che si rispetti c'è almeno un premio Nobel). Flavia, nella cattedrale, è il direttore scientifico dell'Istituto di Economia dei media. Il suo punto forte sono le tv private. Ora tutto questo non basta a non far incavolare il Pd romano e anche parecchi amici di Marino. Non è un nome così autorevole da zittire chi mal digerisce le scelte imposte dall'alto. E poi c'è la questione del cognome. Flavia Barca è «troppo sorella». Non è difficile raccogliere il malumore, anche se nessuno per ora ci mette la faccia, perché anche nel Pd hanno famiglia. I discorsi comunque sono questi. «La diversità della sinistra è una storia che ci raccontiamo ogni giorno. Poi siamo quasi peggio degli altri. Parliamo di quote rosa. Belle. Come no? Poi diventano quote famiglia. La sorella di Barca, la fidanzata di Franceschini, Michela Di Biase, anche lei in odore di poltrona, oppure si catapulta da Venezia Marina Dragotto come assessore all'Urbanistica. E va bene che è esperta in recupero di aree dismesse, ma che c'entra con Roma?». Questi discorsi a Roma ti arrivano ogni volta che parli con qualcuno dei dirigenti Pd. Non piacciono le quote rosa. Non piace il giro dei soliti nomi. Non piace la casta. Qualcosa, evidentemente, non va. Perché il problema per la sinistra non è solo vincere, ma il dopo. Il problema è governare.
Ma torniamo a Fabrizio Barca. Qualcuno dice che il nome della sorella sia una compensazione per aver lasciato a Epifani la segreteria precaria, a tempo, del partito. L'ex ministro del governo Monti non sfiderà neppure Renzi in autunno. Non è una resa, ma il segno della sua saggezza. Renzi ha già vinto. I dinosauri del partito si sono tutti convertiti al suo giubbotto in stile Fonzie. Quando perfino Rosy Bindi gli dà ragione non c'è più gara. Renzi come sapete ha cambiato strategia. Ha capito che per arrivare a Palazzo Chigi doveva prima conquistare l'apparato, allearsi con chi voleva rottamare. Adesso non gli resta che preparare il funerale politico di Enrico Letta, come lui «giovane», come lui con il sangue post democristiano, quindi di fatto il suo rivale naturale per la leadership. Letta e Renzi giocano nello stesso ruolo, ma lo interpretano in modo diverso. Non c'è spazio per tutti e due. C'è spazio invece per Barca.
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