
Quella che si apre sarà la settimana delle piazze pro-Palestina, promosse dalla maggior parte dei partiti della sinistra italiana, con l'intento dichiarato di porre fine al massacro dei civili nella Striscia di Gaza. Provare sgomento, pietà e orrore per le vittime civili di ogni conflitto è un sentimento umano, credo condiviso anche da coloro che da quelle piazze resteranno lontani. Allo stesso modo, la chiamata in piazza è uno strumento assolutamente legittimo della politica per dare peso alle proprie idee e piattaforme programmatiche.
Fin qui nulla da eccepire. Molto da dire, invece, sul manifesto che ha convocato tali manifestazioni. Un manifesto evidentemente viziato da un'ideologia che sfrutta le vittime per giustificare posizioni anti-israeliane preesistenti, radicate in certa sinistra e anteriori alla crisi in corso. Per quelle piazze, infatti, ipocritamente, le vittime non sono tutte uguali: solo alcune sono utili a giustificare tesi precostituite, in particolare quelle che vedono nello Stato di Israele una colonna dell'imperialismo occidentale, anziché un piccolo baluardo di democrazia in un'area del mondo dove questa è per lo più sconosciuta.
Nei proclami che chiamano alla piazza, infatti, la parola «Hamas» non compare. Non si menziona il 7 ottobre, né il massacro di civili inermi perpetrato dall'organizzazione terroristica palestinese. Non vi è alcun richiamo al fatto che, ancora oggi, Hamas tenga prigionieri, in catene, decine di civili israeliani e mantenga, sebbene indebolito, un solido controllo di quell'area attraverso strumenti non meno brutali di quelli usati dalle forze di difesa israeliane. In piazze convocate dalla sinistra, stupisce ancor di più la totale assenza di ogni riflessione circa le posizioni di quel movimento estremista islamico riguardo ai diritti civili, alla condizione femminile, alle libertà individuali . Ancor meno si rinviene alcuna considerazione sul fatto che, mentre in Israele il 20% della popolazione è di origine palestinese e gode del diritto di voto, lo slogan di Hamas è la distruzione di ogni presenza ebraica tra il Giordano e il mare, ovvero la totale cancellazione di quello Stato.
Quelle che vedremo sono piazze a senso unico, chiamate a indignarsi per una reazione, cancellando ogni memoria dell'azione che l'ha provocata. Una delle molte interpretazioni retoriche della doppia morale che certa sinistra è abituata a usare strumentalmente a sostegno delle proprie tesi. L'ho scritto all'inizio di questo articolo: provare pietà e sgomento per le vittime di ogni guerra è un nobile sentimento umano. Tuttavia, dietro questo sentimento non si può nascondere la valutazione dei fatti e delle circostanze. La strage dei civili tedeschi alla presa di Berlino sarebbe stata valida motivazione per chiedere all'Armata Rossa di fermare l'avanzata verso il bunker di Hitler? La certezza della crudele ritorsione fascista avrebbe dovuto inibire i partigiani dall'attaccare le Camicie Nere nella lotta di liberazione del nostro paese? Il sangue delle vittime innocenti non può essere pretesto per la mistificazione delle ragioni e dei torti. Le lacrime non possono farci confondere i valori delle parti in causa. A riprova dell'uso spregiudicato del dolore a favore di una tesi precostituita, vi è la totale assenza di ogni richiamo o pressione da parte delle piazze su Hamas e su quei paesi che apertamente lo appoggiano. Mentre si intima al governo Netanyahu di cessare immediatamente ogni operazione militare, non una parola viene spesa per chiedere ai terroristi palestinesi di liberare gli ostaggi, di consegnare le armi, di liberare la Striscia dal proprio dominio fondato sulla repressione. E neppure all'Iran e al Qatar di interrompere i propri finanziamenti e il proprio fiancheggiamento a un'organizzazione che la maggior parte del mondo considera terroristica.
Una vera piattaforma politica basata sul «no alla violenza senza se e senza ma» avrebbe almeno avuto cura di porre le posizioni dei contendenti sullo stesso piano: se Israele deve immediatamente cessare le operazioni militari, Hamas deve liberare gli ostaggi, consegnare le armi, sciogliere la sua organizzazione militare e, perché no, come suggerisce il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, lasciare Gaza come l'OLP di Arafat fece nel 1982, abbandonando Beirut per la Tunisia per evitare la distruzione del Libano.
Possiamo già prevedere, purtroppo, che la settimana si concluderà senza alcuno di questi risultati.
Così come è altrettanto facile prevedere che alle vittime esistenti se ne aggiungeranno altre: poliziotti e carabinieri assaltati dai manifestanti, triste rito celebrato dalle propaggini più estreme di questo genere di raduni. A conferma che la doppia morale sulla violenza e sulle vittime non si ferma ai confini della Palestina.