Ricatto al Cav, una notte di terrore

Sei arresti per l'assalto a casa del ragioniere Spinelli: "Mio marito perdeva sangue dalla bocca". Volevano 35 milioni di euro per presunti dossier su Fini e De Benedetti

Giuseppe Spinelli mentre arriva al tribunale di Milano per un'udienza del processo sul caso Ruby
Giuseppe Spinelli mentre arriva al tribunale di Milano per un'udienza del processo sul caso Ruby

Milano - Tra il drammatico e il grottesco: la paura di essere am­mazzati, ma anche i rapitori gentili che rimboccano le co­perte agli ostaggi. Sullo sfondo c’è il grande giallo economico­giudiziario del Lodo Mondado­ri, e l’ombra cupa di una estor­sione ai danni dell’ex capo del governo. Ma in primo piano ci sono loro due, Anna e Giusep­pe Spinelli, e la loro notte nelle mani degli ostaggi. Sono i rac­conti che due giorni dopo, gli anziani coniugi hanno fatto a Il­da Boccassini.

LE AVVISAGLIE

Anna: «Il 15 settembre, così co­me risulta dal filmato che ho sul mio cellulare, ripreso dalla vi­deotelecamera di sorveglian­za, si vede un uomo che è sul no­stro pianerottolo, esce dal­l’ascensore ed è sceso ». Giusep­pe: «All’ottavo piano è scesa una persona che ovviamente al momento non abbiamo visto ma successivamente, guardan­do le registrazioni della video­camera, abbiamo visto che usci­va dall’ascensore, con la coda dell’occhio mi è sembrato che avesse notato la telecamera pre­sente sul pianerottolo e imme­diatamente fosse sceso per le scale».

L’IRRUZIONE

Anna: «Verso le 21.45 ho sentito l’ascensore che si fermava al piano e dall’ascensore ho visto uscire mio marito. Ho aperto la porta e improvvisamente ho vi­sto una persona che di corsa scendeva le scale che portano al vano ascensore del piano di sopra,mentre un’altra persona è sbucata dal secondo ingres­so. Hanno afferrato mio mari­to, entrambi erano armati e con due passamontagna, e hanno spinto mio marito dentro casa. A mio marito si sono rotti anche gli occhiali (...) in quel momen­to ho pensato che ci avrebbero ammazzato. Subito però i due ci hanno detto di stare tranquil­li, che non ci avrebbero fatto niente e ci hanno anche detto di stare seduti sul divano, e noi così abbiamo fatto. Ci hanno detto che doveva venire un’al­tra impersona importante che ci avrebbe detto cosa fare (...) Entrambi parlavano italiano, uno dei due a un certo punto mi ha detto “Stia tranquilla signo­ra, anch’io ho una mamma”». «Poi uno dei due ha pronuncia­to più o meno la seguente frase: “È un mondo di merda e queste cose non andrebbero fatte”». «A un certo punto ho tirato fuo­ri un rosario che avevo a porta­ta di mano e io e mio marito ab­biamo cominciato a pregare. Uno dei due aggressori, quello più gentile, mi ha detto “An­ch’io sono credente”».

SCARPETTE ROSSE

Anna: «Verso le due è arrivato il terzo aggressore, con scarpe da ginnastica rosse, tipo Superga, con stringhe nere, ho avuto la netta sensazione che fosse il ca­po ». Il capo è Francesco Leone, l’ex pentito. Anna: «Ci è stato detto di andare a riposare e noi così abbiamo fatto, andando in camera nostra (..) Mentre era­vamo a letto, quel ragazzo che identifico come la persona più gentile addirittura ha coperto me e mio marito con una coper­ta (...) ». Al mattino i banditi por­tano il caffè e poi, racconta la si­gnora, «Ho sentito che bisogna­va t­elefonare al presidente Ber­lusconi. “Se telefono a que­st’ora manco me lo passano”, ha detto mio marito. Poi però hanno chiamato e i tre, verso le nove, scusandosi, se ne sono an­dati. Ci hanno detto di non usci­re dalla camera da letto prima di cinque minuti, ho fatto un grande pianto. Mio marito mi ha consolato e poi è uscito, cre­do per andare ad Arcore».

IL PAPELLO

Giuseppe descrive così il foglio mostrato dai rapitori: «Un fo­glio A4, un po’ ingiallito e sgual­cito, si vedeva che era stato pie­gato, e su questo foglio c’era scritto quanto segue, almeno per quanto ricordo: in alto Lo­do Mondadori, De Benedetti, l’indicazionedi due avvocati di cui una donna, i nominativi dei magistrati di primo grado, il dot­tor Forno, questo nome lo ricor­do bene, secondo grado c’era il nome di un presidente e di un giudice a latere, ma non ricor­do i nomi dei magistrati indica­ti, una cena di Fini con magistra­ti e i nominativi per quello che ricordo erano gli stessi indicati nel primo e secondo grado».

«FINI PARLÒ CON I GIUDICI»

Giuseppe: «Il bandito mi ha det­to che Fini avrebbe parlato con i magistrati, pregandoli di aiu­tarlo a mettere in difficoltà Ber­lusconi e che per questo gli sa­rebbe stato grato per tutta la vi­ta. Voglio anticipare che quan­do ho raccontato questo fatto della cena all’avvocato Ghedi­ni a Longo tutti e due si sono messi a ridere, precisando en­trambi che non era nello stile di Fini, e tutti e due propendeva­no per un falso ». «C’erano sette ore e 41 minuti di registrazioni di cose che avrebbero danneg­giato-De Benedetti sempre in re­lazione al Lodo Mondadori, nel­la chiavetta e nel Dvd mostrati da uno dei malviventi. Ma, mes­si nei computer di casa, i sup­porti informatici non funziona­rono ».

INTERVIENE GHEDINI

Di buon mattino, Spinelli chia­ma Berlusconi e poi parla con Ghedini. «Io dissi anche a Ghe­dini, insistendo, che forse si po­teva pagare qualche cosa subi­to a queste persone e Ghedini mi rispose che se la vicenda era quella che si era prospettata tut­to si sarebbe svolto alla luce del sole, stipulando un acquisto di questo materiale avverso un corrispettivo da concordare, ovviamente tutto ciò dopo aver verificato l’autenticità dei fil­mati (...). Ovviamente tutte le conversazioni erano sentite dai sequestratori, che presero male l’affermazione di Ghedi­ni, io per tenerli buoni dissi che anche loro potevano essere sta­ti vittime di un raggiro. Loro dis­sero che il filmato era autenti­co ».

SOLUZIONE SEI PER CENTO

«Dissi a Berlusconi che i 35 mi­lioni richiesti erano il 6% di 560 milioni di euro», racconta Spi­nelli: 560 milioni è l’importo del risarcimento pagato dal Ca­valiere a De Benedetti per il Lo­do Mondadori. «Dissi a Berlu­sconi che il filmato con Fini e i magistrati era autentico e che queste persone erano disposte a cederlo in cambio di una gros­sa somma di denaro ». Così Spi­nelli racconta l’incontro con l’ex premier, dopo che gli ven­ne concesso di uscire di casa. «Dopo che ho raccontato i fatti a Berlusconi costui mi ha detto che dovevo necessariamente dormire altrove. Quindi quan­do sono tornato a casa l’ho rife­rito a mia moglie, lei ha comin­ciato a fare le valigie e in quel frangente, verso le 15, è arrivata sull’utenza fissa di casa una te­lefonata, sicuramente non era uno dei tre sequestratori. Que­sta persona mi ha subito chia­mato Giuseppe e mi ha chiesto cosa si fosse deciso riguardo al­la proposta che avevano fatto. Io ho risposto che in quei termi­ni non era accettabile, che ave­vo cercato di convincere Berlu­sconi che voleva però vedere i filmati e fare una cosa traspa­rente.

Lui ha interrotto la telefo­nata con aria un po’ brusca. Era un italiano sicuro, senza infles­sioni dialettali e sembrava una persona che parlava in modo scorrevole, fluido».

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