Ecco cosa agita il M5S

La rosa allargata ha solo più spine. Finora se ne sono andati in otto, ma le defezioni non preoccupano il capo. Funziona proprio come nel calcio: i dissidenti guastano lo spogliatorio, meglio via

Ecco cosa agita il M5S

I mmaginate se Beppe Grillo e Walter Mazzarri si ritrovano alle prese con lo stesso problema. È estate. Forse il caldo ha deciso di ritornare da queste parti. C'è da preparare la prossima stagione, quando probabilmente ci si gioca tutto. La politica e il calcio dovrebbero essere mondi lontani, eppure in questo caso la questione da risolvere è più o meno la stessa. La rosa. La rosa nel senso di squadra. È troppo ampia. Troppa gente. Troppo diversa. Troppo indefinita. Ci sono ruoli scoperti e altri dove la concorrenza rischia di diventare feroce. Il problema è quindi se e come sfoltirla. Questo è il nodo tattico e gestionale dell'Inter, e di tante altre squadre, e quello politico dei Cinque Stelle.
Ora, per Mazzarri il discorso è chiaro. Lo ha detto subito. Senza coppe tutta questa gente è inutile. Anzi, dà fastidio. Mugugni, facce lunghe, scontenti, malmostosi, illusioni deluse, frustrazioni tradite. Si sa come sono i calciatori. Non si accontentano di uno stipendio grasso, vogliono pure il palcoscenico. Non si sta all'Inter per sedersi in panchina o abbassare un bottone. Non c'è, però, solo questo. Gli allenatori in genere non amano le rose lunghe, anche non perdere identità. Mazzarri ha il suo progetto di gioco. L'ideale è che in ogni ruolo ci sia una riserva, due per quelli più delicati. Ognuno sa con precisione quello che deve fare. Non ci sono equivoci e quelli che non rientrano nel «progetto» sono un peso, una zavorra, magari entrano in campo e pretendono di interpretare il ruolo a modo loro, libertà che si può concedere a Maradona e alle poche altre divinità del pallone, mica a uno Schelotto qualsiasi. Allora sfoltire, sfoltire, perché i nerazzurri dopo la sbornia del triplete, dopo la vittoria oltremisura, si è sgonfiata, è tornata a terra. Il difficile, come predicava il Trap, non è vincere, ma continuare a vincere. E per continuare a vincere la prima regola è: cambiare pelle senza perdere l'identità.
E Grillo? Qui il discorso magari appare meno immediato. In fondo il compito di un leader politico è portare più gente possibile in Parlamento. Il vaffacomico però aveva già messo in conto un 10-15 per cento di defezioni, tra i 16 e 24 parlamentari su 163. Ogni volta che qualcuno se ne va, per scelta o a sua insaputa, Grillo segna una faccetta smile sull'album delle figurine a cinque stelle. Non lo turbano, al momento gli addii. Per ora la diaspora è di otto. Troppo pochi. Altri, dicono i suoi fedelissimi, dovrebbero arrivare con il prossimo «Restitution day», perché per mandare via qualcuno c'è sempre bisogno di una scusa sui bilanci, sui tetti salariali e gli egoisti che rovinano lo spogliatoio.
Grillo non è stupido e sa di avere gli stessi problemi di Mazzarri. Non ha avuto il tempo di preparare bene le «parlamentarie». La rete sarà pure sacra, ma qui c'è gente finita in lista con i voti dei vicini di casa. La maggior parte di questi non li conosceva. Se li è ritrovati in squadra, con la speranza che la ruota della fortuna non fosse del tutto cieca. Alcuni di quelli che conosceva ha pensato di mandarli a casa subito, un po' come ha fatto Mazzarri con Cassano. Rompicoglioni, li ha definiti. Gli altri ha cominciato a valutarli sul campo. Quelli che non corrispondono al suo progetto tattico, via. Tagliati. Come Mazzarri? Fino a un certo punto. Mazzarri non ha bisogno di delegittimare quelli che non gli piacciono. Non deve dire che sono disonesti, ambiziosi e un po' fetenti. Non li mette alla gogna sul web e, per quanto ne sappiamo, non li fa processare dagli altri compagni di squadra. Mazzarri non ha il problema della trasparenza. Neppure Grillo vuole averlo, ma purtroppo per lui gli è scappata questa cosa della «filosofia dello streaming». Quello che invece hanno in comune è la ricerca di un'identità. Grillo è convintissimo che i Cinque Stelle devono essere compatti, decisi e ognuno ben conscio del suo ruolo, l'ideale è che come nell'Olanda del '74: ognuno all'occasione si presti a fare il clone dell'altro. E pazienza se nel suo gruppo parlamentare non sembra esserci l'ombra di un Cruyff. Forse è pure meglio. Uno vale uno (tranne l'allenatore e il team manager). Solo così, sostiene Beppe, i Cinque Stelle non balleranno una sola stagione. E la democrazia? Una squadra di calcio non ha il dovere della democrazia interna. Ma se è per questo neppure il movimento Cinque Stelle. Pari sono.

di Vittorio Macioce

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