Se lo sportivo in politica non segna mai un gol

Il corteggiamento del Pd a Tardelli è solo l'ultimo caso di atleta prestato al Palazzo. Ma da Rivera a Mauro, il salto dal campo al Parlamento non ha portato fortuna

Se lo sportivo in politica non segna mai un gol

Ennio Flaiano l'aveva previsto. La situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Marco Tardelli conferma l'assunto ricorrendo a un francesismo datato: «Non sono ferrato in politica». Pur essendo un purosangue, l'ex campione del mondo ribadisce il concetto, una cosa è lo sport, l'agone, la sfida diretta che dipende dalle tue condizioni, un'altra la battaglia politica che dovrebbe, uso il condizionale, coinvolgere esperienze, preparazione, cultura, sensibilità, doti e virtù in via di estinzione. Tardelli si butta in politica, svariando sulla sinistra, non è allenato ma gioca. Dopo la partita c'è il partito, gioco di parole che spiega il passato remoto di chi non ha mai trovato un futuro ma soltanto un trapassato. L'ultima caduta sul fronte è stata Josefa Idem, ministro del governo Letta, destinata a una carriera virtuosa come lo è stata quella in acqua e con i remi. Ma la cronaca giudiziaria l'ha fatta affondare, umiliandola secondo usi e costumi di questo bel paese. Nell'archivio di Stato sono numerose le figurine di calciatori, atleti, sportivi tutti, che hanno tentato di proseguire il trionfo in Parlamento o nei municipi, il caso più illustre riguarda Franco Carraro, detto il poltronissimo, ministro del Turismo con delega allo sport sotto tre differenti presidenti del Consiglio, Goria, De Mita e Andreotti, senza dimenticare il mandato a sindaco di Roma.

Non si hanno notizie di applausi oceanici, semmai silenzio e luci spente. Ci hanno provato in molti, per primo Amedeo Amadei, pluricannoniere della Roma prima dell'avvento dell'ottavo re Totti Francesco. Amadei si presentò con la Dc alle comunali della capitale e ottenne voti diciottomila. Grazie alla politica, dopo il football, si comprò un panificio e per questo venne chiamato Er fornaretto.

La Democrazia cristiana convinse Gianni Rivera al grande salto romano, in verità il bambino d'oro sbagliò compagni di reparto, finendo addirittura non in rete ma nella Rete di Segni e affini. Sottosegretario, il massimo dei suoi onori politici, poco per un fuoriclasse assoluto del football internazionale.

Ma così vanno le cose da noi, non c'è trippa per i gatti dello sport, l'elenco, a memoria, riporta i cognomi illustri di Boniperti, eletto al parlamento europeo come lui Pietro Mennea per scivolare nei casi folkloristici di Massimo Mauro sotto l'Ulivo niente, della Di Centa e di Cova, un paio di legislature a testa ma senza lasciare traccia come era accaduto sulla neve e in pista, Valentina Vezzali in lista Monti e Alessia Filippi con il Pd, Luigi Martini, terzino della Lazio campione d'Italia, passato ad Alleanza Nazionale. Ma qualcuno ha forse dimenticato Giovanni Galli? È lui l'uomo che è riuscito a portare al ballottaggio tale Matteo Renzi, ebbene sì, ma dopo quell'esperienza il grande portiere della nazionale e del Milan ha preferito desistere.

Non è facile stare seduti dopo aver corso, dribblato, tirato di scherma, nuotato, il mestiere del politico comporta patteggiamenti laddove lo sportivo atleta, invece, è un uomo solo al comando anche quando gioca di squadra. Marco Tardelli è una idea furbastra di Renzi che spera di mettere in ginocchio ancora una volta la Germania come accadde nella notte di Madrid, millenovecentottantadue, quando frau Merkel studiava a Berlino chimica fisica e, dunque, nulla sapeva di spread e Tardelli realizzò un gol simbolo, un inno alla gioia poco beethoviano, chiamandosi poi Marco il massimo della beffa per i tedeschi di Germania. Tuttavia già si scatenano i siti sulla residenza londinese di Tardelli, sul fatto che Schizzo (il suo soprannome) nulla sappia di cose nostrane. In verità dovremmo accertare che i residenti sul suolo Patrio siano tutti a conoscenza dei fatti e dei problemi di quest'Italia ma sarebbe un altro discorso.

C'è il rischio che Tardelli, come è successo con la Repubblica di Irlanda da lui guidata assieme a

Giovanni Trapattoni, non ottenga la qualificazione e allora sarebbe un clamoroso autogol che l'ex campione del mondo non merita. Non sarebbe colpa sua ma di chi sta sbagliando la tattica. Indovinate il nome e il cognome.

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