
Intellettuali ed esponenti politici del centrodestra si lamentano del trattamento illiberale e talvolta violento che subiscono da alcune frange della sinistra. È poca cosa rispetto a ciò che debbono subire i «compagni» non perfettamente «allineati». Sabato sera è andato in onda un perfido processo mediatico contro Valerio Aprea. L'attore engagé, roba da monologhi sul 25 aprile alla Sette, non un pericoloso reazionario, si è permesso di dire nel programma di Gramellini che il cinema italiano dovrebbe farsi un esame di coscienza sui finanziamenti pubblici che riceve e le poche entrate che genera. Aprea, con buon senso, spiegava come la destra stia «strumentalizzando» questa polemica sul cinema, che «vuole vincere facile», ma che d'altra parte il circoletto del cinema italiano dovrebbe fare prodotti che riscuotano un minimo di successo commerciale. Difficile non essere d'accordo con Aprea. Gli è che in studio, a partire dal conduttore, non potevano sopportare un discorso di ragionevolezza. Il tema è caldo: il cinema, Elio Giordano, il ministro Giuli e l'egemonia culturale e bla bla. Abbiamo così assistito, mutuando il gergo di Repubblica, ad un pestaggio mediatico. Lella Costa, stizzita, spiegava che la cultura non deve seguire il mercato, dimostrando di non aver capito nulla. Makkox, fintamente ironico, minacciava di alzarsi e andarsene dallo studio. Gramellini pontificava: ciò che non ha successo oggi potrebbe averlo tra vent'anni. Sì certo: abbiamo finanziato capolavori dormienti. Ci vorrebbe la rieducazione di Arancia meccanica per svegliare dal sonno i contribuenti-cinefili italiani. Proprio nelle stesse ore un consigliere comunale di Cagliari, Davide Carta, scriveva di Fassino: «ad ammazzarlo non si fa peccato». Il capogruppo sardo del Pd l'ha poi definita: «un'uscita infelice». Infelice. Avete letto bene. Fassino da anni tocca un nervo scoperto della sinistra, questa volta non è il cinema, ma Israele e gli ebrei. Che difende dai rigurgiti di antisemitismo. Evidentemente non in perfetta linea con la base del partito.
Pochi mesi fa un consigliere comunale del Pd di Milano, Daniele Nahum, ha dovuto lasciare il suo gruppo per motivi simili. A sinistra c'è un germe di intolleranza. Un'allergia che non riguarda «i compagni che sbagliano» e sparano, ma «i compagni che ragionano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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