da Milano
È lIsolde di fiducia del direttore Daniel Barenboim. Assieme sono volati in Giappone proprio nel segno di Tristan und Isolde, lopera wagneriana che ha aperto una nuova era nella storia della musica e che il 7 dà il via alla stagione della Scala, scioperi permettendo. Del resto, Waltraud Meier, mezzosoprano di Wurzburg, ora accasata a Monaco, è Isolde. Lo è stata innumerevoli volte, sè confrontata con le più disparate idee registiche e musicali. Ma è proprio la Scala a offrirle loccasione che aspettava. Cioè fare Tristan und Isolde con Barenboim sul podio e Patrice Chereau alla regia, un lusso oggettivo. «È un sogno che savvera, un regalo che arriva nel momento in cui avvertivo lesigenza di sperimentare qualcosa di nuovo e di meglio», confessa.
In che cosa consiste il meglio di Patrice Chereau?
«Le sue realizzazioni sono di unestrema logica, capisci che la risoluzione non poteva essere che quella. Traduce tutto in modo naturale, gesti compresi. Non si accontenta mai di nulla».
Cosa vuol dire, invece, fare Tristan und Isolde con Barenboim?
«Il nostro primo Tristan risale al 1993, ne sono seguiti altri, sempre diversi. Barenboim è un direttore in continuo fermento, un fiume di intuizioni».
È cambiata la sua Isotta nel tempo?
«Sono cambiata io e inevitabilmente i personaggi che incarno: fanno parte della mia identità. Prima concepivo Isolde come una fidanzata distrutta ora la vedo sempre meno distrutta e sempre più donna consapevole del proprio amore».
Un amore che conduce alla morte.
«Sì, perché è profondo, va oltre la passione. Appunto, è amore».
Conosce Bayreuth, roccaforte wagneriana, come le proprie tasche. Frequenta le migliori orchestre tedesche. Cosa ci dice dellorchestra scaligera?
«Che sta rispondendo con un suono wagneriano anche se rimane unorchestra italiana».
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