Il j'accuse: "Operazioni irregolari"

L'ex impiegata: "Non era normale fare quei versamenti sul conto privato. Non ci dormivo la notte, volevo lasciare An". La parentela: "Si presentava come il cugino di Fini. Ecco perché alla banca non c'erano problemi e chiudevano un occhio"

Il j'accuse: "Operazioni irregolari"

Ecco ampi stralci delle «verità» dei personaggi (politici e non) tirati in ballo nel pasticciaccio degli assegni ad Alleanza nazionale. Ana Maria Lutescu, la grande accusatrice, depone in aula l’11 febbraio 2009. La versione dei fatti che consegna al giudice è la seguente: «Io lavoravo nell’ufficio dell’M6, Master Servizi Italiani Srl. Frequentavo tale Silvia Costa (che lavorava alla diffusione del Secolo d’Italia in via della Scrofa a Roma, ndr) eravamo colleghe, ogni tanto mi aiutava. Avevo contatti con Donato Lamorte e altri con i quali, nelle pause-pranzo, tre-quattro volte la settimana mangiavo insieme: spesso eravamo io, l’onorevole Lamorte, la signora Rita Marino che adesso è l’attuale segretaria del presidente Fini e Iannarilli. Un rapporto di frequentazione durato tre anni». L’avvocato di parte civile chiede se in questi tre anni avesse mai riferito ai commensali dei suoi dubbi sugli assegni.

I VERSAMENTI SETTIMANALI
«Non c’era bisogno perché proprio loro mi davano assegni, cioè praticamente io li ricevevo all’ora di pranzo (...). Altre volte Iannarilli passava la mattina o durante la giornata e mi lasciava gli assegni che arrivavano sopra, al primo piano, alla direzione nazionale (...). La lettera non era indirizzata a Lamorte ma al presidente di An, onorevole Fini, per chiedere... non so... giustizia, perché pensavo che avevano fatto dei torti. Non ce l’avevo con Lamorte, non volevo offendere, anche perché era stato sempre carino con me. L’ho mandata per informarlo, volevo informare il presidente e anche quelli che erano nella lettera, e siccome Lamorte era ancora capo segreteria del partito ho creduto di informare pure lui. E anche l’onorevole Gasparri (...) e Iannarilli che era in causa. Poi l’unico che si doveva offendere di quello che ho detto era il signor Iannarilli. E infatti non si è offeso (...)».

IL CONTO PRIVATO
La Lutescu conferma di essersi confidata con la collega Silvia Costa: «Mi preoccupavo di questi assegni perché non erano solo assegni per l’M6 (...) non era normale versarli sul conto privato di Iannarilli (...). Lo dissi alla Costa, volevo lasciare il partito. Dissi che il lavoro mi preoccupava, non dormivo la notte per la preoccupazione di questi assegni». Quanti erano gli assegni versati? «Beh, adesso... io in una giornata versavo assegni dell’M6, vaglia postali, contanti e pure assegni di An, la metà degli assegni erano di An dipartimento Immagine e propaganda e c’erano di An Direzione nazionale (...). Quattro di media (...) da cinquecentomila lire fino a cinque milioni (...). Io all’inizio non capivo, lui (Iannarilli, ndr) all’inizio mi ha portato in banca e ha detto: d’ora in poi questa è la mia segretaria, verserà assegni (...). Quando ho cominciato a capire ho parlato con Silvia Costa che mi ha detto che era una società che non c’entrava niente il partito (...). Gli assegni indirizzati ad An erano girati due volte da Iannarilli, una volta da An, una volta come Iannarilli, la stessa firma. Poi c’erano assegni indirizzati An (...). E poi non trasferibili, erano tutti trasferibili (...)».

«SI PRESENTÒ COME CUGINO DI FINI»
«Quando venni presentata ai dipendenti della banca di Roma, l’agenzia 89 di via della Scrofa all’angolo, Iannarilli ha detto: “Io sono il cugino di Fini, qui non ci sono problemi, viene lei a versare”. Io potevo solo versare e tutti sapevano che era il cugino di Fini, allora non c’era problema, si chiudeva un occhio (...). Io ho sempre versato nel conto privato, personale (...). Poi ho saputo che lui non poteva firmare, pensavo che era normale che lo firmava Lamorte, però non era normale che lo versavo nel conto privato di Iannarilli (...). Io non ce l’avevo con Lamorte, con la lettera volevo denunciare Iannarilli, far sapere al presidente di questa... anche perché era un parente, lo diceva a tutti (...) Gli assegni che provenivano dalla Direzione nazionale erano sempre firmati da Lamorte, però un secondo, io l’ho visto solo una volta che firmava, ha firmato davanti a me e alla signora Rita Marino (la segretaria di Fini, ndr), il resto me li portava già firmati». La Lutescu conferma che l’assegno è quello con la firma disconosciuta da Lamorte, interrogato poco prima (...).

LAMORTE DISCONOSCE LA FIRMA
Proprio così. Donato Lamorte, capo segreteria di Fini e poi di An, di fronte al giudice nega gli illeciti e spiega il perché della querela alla Lutescu: «Ho querelato perché era pervenuta una lettera anche indirizzata a me in cui venivo accusato (...). Non ho dato a Iannarilli assegni in relazione a somme che il partito riceveva. Non avevo potere di firma, escludo che gli assegni li abbia consegnati io (...). Qualora per raccomandata provenivano assegni, etc, la posta li spostava al settore amministrativo, quindi il senatore Pontone, attraverso i suoi funzionari (...). In almeno 15 anni, in 16 anni, perché attualmente sono ancora capo della segreteria politica, non mi arrivavano assegni (...). Ho conosciuto la Lutescu che lavorava alla società M6, che è la società dei gadget etc, con il signor Iannarilli (...)». Giudice: «Frequentava la segretaria di An, cioè veniva?». Lamorte: «È lo stesso palazzo, non è che è impedito entrare in una stanza o in un’altra». (A Lamorte viene mostrato l’assegno da 644mila lire emesso a Surbo con la sua firma e chiesto se la firma è la sua): «No. Nella maniera più assoluta (...)». Il perché della querela? «Guardi, dal momento che uno mi accusa che io firmo degli assegni, so di non avere i poteri, avrei commesso un falso, il falso non l’ho commesso, quindi è una calunnia nei miei riguardi».

PONTONE: «SOLO IO AVEVO I POTERI»
Anche l’onorevole Francesco Pontone, tesoriere del partito, altro protagonista dell’affaire monegasco, dice la sua in tribunale. Al giudice dice: «I miei compiti, le mie mansioni, ho una procura del presidente del partito per quanto riguarda incassare, pagare». Pm: «Quindi lei ha la firma diciamo sociale per poter emettere, riscuotere, trasferire assegni?». P: «Sì, soltanto...». Pm. «Soltanto lei?». P: «Soltanto io». Pm: «Le risulta che Lamorte abbia mai avuto questi poteri?». P: «Non ha mai avuto questi poteri, lo escludo in senso assoluto». Pm: «Quanti conti correnti ha il partito su cui lei agisce?». P: «Sono due, tre conti correnti. Alcuni con la Banca nazionale del lavoro e alcuni con il Banco di Napoli». Pm: «Ha mai rilasciato degli assegni a tal Iannarilli Roberto per conto del partito?». P: «No, no, non ho mai rilasciato assegni a Iannarilli Roberto». Pm: «Conosce la signora Lutescu qui presente?». P: «Non la ricordo». Interviene il giudice: «Quindi non ha mai ricevuto per conto del partito assegni della società Ms6». P: «Penso di no, non posso ricordare tutti gli assegni ricevuti, ma lo escludo» (gli viene mostrato l’assegno contestato). G: «Se ha mai ricevuto un assegno di questo genere che oggi l’avvocato ci ha prodotto, se riconosce eventualmente la firma». P: «No, no». G: «Quindi non ha mai visto questo assegno?». P: «Direi che non l’ho mai visto, no ma lo escludo, sì, insomma, dico che non l’ho mai visto».

Si intromette l’avvocato di parte civile: «Non è girato da lei questo assegno? Non reca la sua firma?». P: «No, lo escludo, insomma dico che non l’ho mai visto».
Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

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