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Il killer: "Mi dispiace, ma ho ucciso qualcuno?"

Le parole ai carabinieri prima della resa: "Voi non potete capire, non potete immaginare"

Il killer: "Mi dispiace, ma ho ucciso qualcuno?"

Roma - Spari, feriti rimasti per terra e ancora sotto tiro, un uomo armato su un terrazzino blindato che fa fuoco su tutto quello che si muove sotto di lui. Uno scenario da incubo, quello che le forze dell’ordine si sono trovate ad affrontare a Guidonia due sere fa. Il cecchino non era visibile dalla strada, ma i suoi colpi continuavano ad andare a segno, contro i passanti e contro i medici, poliziotti e carabinieri accorsi sul posto. Così due uomini dell’Arma, Giovanni D’Alessando e Giuseppe Picozzi, e l’ispettore della polizia Catalano cercano di avviare una trattativa con Angelo Spagnoli. Durerà un’ora e mezza, in tre fasi.
I tre si addossano al muro del palazzo e gridano verso l’alto, per richiamare l’attenzione dell’ex militare. Spagnoli sente le voci provenire dal basso e risponde. È il primo passo di una mediazione estenuante, andata avanti per quasi novanta minuti. All’inizio, infatti, l’uomo è nervoso. «Gli abbiamo chiesto di lasciare le armi e scendere, ma non voleva farlo, né voleva che noi salissimo», spiegano i due carabinieri. I tre si alternano nel dialogo con il cecchino, il flusso di domande e di risposte non si interrompe, e il primo risultato è che Spagnoli, distratto dalla conversazione, smette di sparare. Non lo farà più fino alla resa. Una ventina di minuti dopo, lascia che carabinieri e poliziotto entrino nell’appartamento proseguendo il «negoziato» attraverso la botola che porta al terrazzo. Gli argomenti dei discorsi tra Spagnoli e forze dell’ordine sono al limite del surreale. Una scelta obbligata, per tranquillizzarlo. «Ovviamente gli abbiamo chiesto come mai si fosse messo a sparare ma era inutile, perché non dava molte spiegazioni e anzi la domanda lo innervosiva», spiega Picozzi.
«Si limitava a dire “voi non potete capire, voi non potete immaginare”, non volevamo che riprendesse a sparare, così abbiamo lasciato cadere il discorso». D’Alessandro e Spagnoli si mettono a parlare delle divise, una vera fissazione dell’ex militare, che anche dopo il congedo forzato continuava a indossarla per portare a spasso il cane. «Mi ha detto che aveva un passato da militare, nell’esercito, e che aveva una divisa uguale alla nostra. Io gli ho fatto osservare che la divisa del Genio era color kaki, ma lui ha insistito: “No, era nera, come la vostra”». A quel punto, dopo mezz’ora di parole, i tre hanno ormai conquistato la fiducia dell’uomo, che acconsente a lasciarli salire sul terrazzo. «Siamo entrati uno alla volta, salendo dalla botola. È stato un momento delicato, pericoloso, anche perché, per farlo sentire tranquillo, siamo saliti senza armi».
Parte dell’arsenale di Spagnoli è nell’appartamento, ma nel «fortino» all’aperto l’uomo ha con sé un rudimentale lanciafiamme, la 357 magnum Smith & Wesson e la carabina di precisione. Ma continua a parlare con i tre uomini, chiede notizie dei feriti. «Ha cominciato a preoccuparsi delle conseguenze del suo gesto - spiegano i due uomini dell’Arma - e si è mostrato pentito. “Mi dispiace, ho ucciso qualcuno?”, ci ha chiesto. Noi gli abbiamo detto che c’erano solo feriti, anche perché non sapevamo del morto. E lo abbiamo convinto a non peggiorare la situazione. Ci ha ascoltato, per fortuna.

E abbiamo potuto finalmente bloccarlo».

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