L’addio privo di pathos di un popolo maturo che ha svoltato da anni

NIENTE RIMPIANTI Resta il mito di Almirante, ma ora i veri riferimenti politici sono Aznar e Sarkozy

RomaNessun torcicollo alla Fiera di Roma. Perché il terzo e ultimo congresso di An è in tutto e per tutto un addio al passato. In ogni sfumatura, a partire dall’impostazione da convention, ben più consona ai ritrovi di Forza Italia che alle assise di un partito tradizionale. E che An abbia già cambiato pelle nonostante manchi ancora una settimana alla nascita ufficiale del Pdl lo si coglie senza incertezze quando La Russa chiede ai delegati di votare il rinnovo delle cariche interne. «Per alzata di mano: chi è favorevole, chi si astiene, chi è contrario, approvato», corre il reggente di An in una manciata di secondi perché anche alla forma bisogna buttare un occhio. Tutto, in verità, è già deciso da tempo, dalla confluenza nel Popolo della libertà al più piccolo dei dettagli. E pure i pochi mugugni, vedi quelli di Roberto Menia, sono annunciati e disciplinati. Certo, resta qualche sparuto irriducibile che ancora sbottona la camicia e ti mostra orgoglioso la celtica d’oro, ma basta fare un giro nello stand dei libri per capire che la svolta c’è già stata. Di Mussolini neanche l’ombra. In compenso, a fianco ai tomi su Almirante spuntano i nuovi riferimenti storici e culturali della destra italiana: un libro su Aznar e due su Sarkozy, tutti con prefazione di Fini.
D’altra parte, è proprio questo il messaggio che il leader di An vuole lanciare al suo popolo. Certificato da una coreografia eloquente: si inizia con un filmato su Almirante e si finisce con il giovane Emanuele, nato nell’anno della svolta di Fiuggi, che annuncia la nascita del «partito degli italiani». Il testimone di questa immaginaria staffetta, insomma, è stato passato.
Il tutto senza neanche troppo pathos perché, spiega più d’uno, «se a Fiuggi c’erano il cuore e la pancia qui a Roma c’è soprattutto il cervello». Una scelta ragionata e razionale, dunque. Che porta la destra non solo oltre l’Msi ma anche oltre An e che l’amalgama al centro dentro il Pdl. Con due destinazioni finali: il bipolarismo da una parte e la legittimazione del Ppe dall’altra. Ma anche con qualche incognita, perché forse non oggi ma fra qualche mese la stabilizzazione del Pdl è destinata anche a cambiare i rapporti interni alla maggioranza. Soprattutto quelli con la Lega. Non perché sia in discussione la leadership di Berlusconi che continuerà a far valere il suo rapporto privilegiato con Bossi, quanto perché più d’una volta il cosiddetto asse del Nord (Forza Italia-Carroccio) ha avuto la meglio sugli alleati di An. Un gioco di sponda che diventerà più difficile con il passare dei mesi. Perché da leader del Pdl Berlusconi parlerà anche a nome di Fini e di An e soprattutto nei momenti più delicati non potrà non tenerne conto. La querelle su medici e immigrati ne è stato un assaggio.

Tanto che FareFuturo, fondazione vicina a Fini, chiosa così la presa di distanze del Cavaliere dalla Lega: «Con le sue parole nasce il Pdl». E non è affatto un caso che proprio ieri La Russa abbia lanciato una «sana e fraterna competizione» con il Carroccio.

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