L’alibi fascista? No di Filippo sì di Marco Rizzo

Filippo Penati è morto in un campo di concentramento. Era il nonno dell’attuale presidente della Provincia, che si fa quindi vanto di «venire da una famiglia antifascista». Storia familiare che lo spinge a giudicare «indegno e vergognoso dare l’alibi dell’antifascismo per sfasciare vetrine».
Dichiarazione dopo un sabato di guerriglia metropolitana che fa venire l’orticaria ai comunisti doc come Marco Rizzo: «La condanna alla violenza e ai fatti accaduti» osserva l’europarlamentare del Pdci «deve essere chiara, netta, risoluta e inequivocabile ma» avverte l’esponente del partito di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto «deve essere al tempo stesso accompagnata da una condanna altrettanto drastica verso quei gruppuscoli estremisti che si ispirano chiaramente al nazismo e al fascismo, i quali sono costituzionalmente fuori legge, condanna che vede sotto accusa il fascismo e il Ventennio, un periodo deleterio per l’Italia e per gli italiani».


Legittimazione nero su bianco del vetero antifascismo che, come denunciato da Ignazio La Russa (An), ha «creato le premesse della guerriglia milanese, alzato un polverone su una manifestazione dell’estrema destra, di quattro ragazzotti di cui non si sarebbe accorto nessuno e che la polizia sarebbe stata in grado di controllare benissimo». Solita storia di una sinistra che non sa condannare «senza se e senza ma». Stessa sinistra di Penati.

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