L’Arnoldo di Osborn esalta il sontuoso Guglielmo Tell

«Io reputo il Guillaume Tell la nostra Divina Commedia». Il giudizio è di un signore con le carte in regola, Vincenzo Bellini. Non si capacitava, Bellini, di come ogni amante della musica non si prostrasse davanti a quel «miracolo dell’arte» che è l’opera in quattro atti Guillaume Tell (1829) di Gioachino Rossini. Per fortuna gli attestati di deferenza davanti all'ultimo, e forse il maggiore capolavoro di Rossini, non sono certo mancati. Piuttosto scarsa, invece, l’abbondanza nel reparto tenorile di quest’opera, perché il suo protagonista vocale non è l’eroe della libertà elvetica e del titolo, Guglielmo Tell, bensì il congiurato svizzero Arnoldo, quello che nell’ultimo atto dopo l’aria patetica Asile héréditaire, attacca una cabaletta impervia incitando i confederati ad abbattere la tirannide - e per un compito tanto audace - si innalza fino al do sopracuto. In questo punto il tenore Gilbert Duprez - due anni dopo la prima di Parigi - ebbe l’intuizione drammatica di emettere il suono «di petto». Abbandonando la compostezza del falsettone, Duprez, iniziò così, virile e gagliardo, l’era del tenore romantico. La sontuosa edizione dell’epopea rossiniana che ha aperto la stagione 2010-11 dell’Accademia di Santa Cecilia si è retta sull’Arnoldo di John Osborn, artista che ha ben misurato le forze a disposizione, raccogliendo coraggio (e ce ne vuole tanto) nel punto in cui tutti l’aspettavano. L’applauso trionfale che ha sollevato nel pubblico di Roma è il giusto premio al risultato conseguito. Accanto a lui, sempre rimanendo sulle cime della chiave di tenore, merita una speciale menzione Celso Albelo (Ruodi il pescatore), ruolo non esteso ma difficilissimo (apre l’opera con pure gemme sopracute). Bella conoscenza quella di Malin Byström (Matilde), fisico disegnato con la punta del pennello, sicura nelle agilità, si è impiegata a non rimanere sommersa dal fiume di musica che Rossini affida al brumoso languore di Sombre foret (per noi italiani, Selva opaca) e nei due duetti amorosi. Nel quartetto dei bassi, la nobile linea di canto di Gerald Finley (Guglielmo) si è distinta sia accanto a quella dei compagni di congiura, Walter (Matthew Rose) e Melchtal (Frédéric Caton) sia dell'acerrimo nemico, l’iracondo Governatore Gesler (Carlo Cigni). Squillante Elena Xanthoudakis nel ruolo en travesti del figlio di Tell, Jemmy. La grandezza dell’opera si misura anche nella varietà e nella qualità degli interventi del Coro (istruito egregiamente da Ciro Visco), e dell’orchestra. Il gran condottiero Antonio Pappano e le masse ceciliane sono state pienamente all'altezza del compito. Non è un complimento di rito, perché, dobbiamo ripeterlo, con il Tell la musica di Rossini, arrivata ad una vetta massima, non vuole né rinnovare né rinnegare. Tocca un punto di pienezza totale e scorre come un fiume in piena sugli avvenimenti storici, unendo al meraviglioso sentimento della natura la grandezza delle passioni umane. Dopo il Tell, calerà per Rossini il silenzio famoso: quarant’anni senza scrivere più un melodramma.

Per il maestro della critica musicale dell’Ottocento, Eduard Hanslick, la trasformazione grandiosa di Rossini dalle farse giovanili al Tell non sarebbe capitata una seconda volta nella storia della musica. Aveva accanto la parabola di Giuseppe Verdi, da Oberto a Falstaff. Sappiamo di non essere nuovi: era l’eccezione che conferma la regola.

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