Ottantatrè anni. Il tempo necessario, mese più mese meno, per trascrivere una sterminata lenzuolata di intercettazioni telefoniche e ambientali. Sembra fiction, è la realtà. Ambientata a Gallarate, un tempo considerata con la vicina Busto Arsizio la Manchester del tessile italiano. Oggi, invece, i paragoni andrebbero fatti con la Chicago di Al Capone perché non si riesce a spiegare in altro modo la sbalorditiva proliferazione di intercettazioni. Quanti sono i criminali in circolazione in una città che tocca a malapena i cinquantamila abitanti? È quel che ci si domanda leggendo la lettera, altrettanto attonita, che due consulenti indirizzano alla procura di Busto Arsizio dopo aver ricevuto un incarico al di là delle loro possibilità: trascrivere trecentomila intercettazioni. Un compito sovrumano, anzi no, a fare i ragionieri dell’aritmetica giudiziaria la coppia stima che occorreranno ottantatrè anni circa per portare a termine l’impresa. Siano nel 2009 e dunque la sbobinatura, poi sfumata, ci avrebbe portato alle soglie del ventiduesimo secolo.
Incredibile. Ancora di più perché l’inchiesta in questione ha un perimetro locale e non sfonderà sulle prima pagine dei giornali nazionali e delle tv. Una storia, con tutto il rispetto, di provincia, per quanto deprecabile, incentrata sui presunti affari sporchi dell’Ufficio tecnico del Comune. Una vicenda che porta a una manciata di arresti e che, come tante altre indagini, si avvale del supporto prezioso delle intercettazioni. Già, ma quante sono le telefonate e le conversazioni captate?
Due tecnici, non due sprovveduti ma due professionisti abituati a gestire delicati e complessi incarichi per conto delle più agguerrite procure d’Italia, ricevono i Cd-rom e i dvd e cominciano a studiare il materiale. Restano di sasso, fanno e rifanno i loro conteggi, poi prendono carta e penna e inviano una lettera surreale, anche se impeccabile nelle forme e nei toni, al pm Toni Novik. «A seguito dell’incarico assunto in data 12 marzo 2009 - è l’incipit - in merito alla ricerca e trascrizione di intercettazioni telefoniche e ambientali, con la presente, come già anticipato verbalmente alla Signoria vostra, siamo a rappresentare quanto segue: abbiamo provveduto a effettuare una stima del lavoro richiestoci con la conta dei supporti magnetici sui quali sono incise le intercettazioni telefoniche e ambientali da trascrivere».
E i conteggi hanno dato risultati a dir poco sbalorditivi: «Possiamo dire che le conversazioni da trascrivere, presumibilmente, si aggirano intorno alle 300.000». Numeri impressionanti, da record della specialità, ribaditi in lettere come negli assegni: «Trecentomila».
Un diluvio che i pur scafati professionisti non sanno come affrontare. Quella davanti a loro più che un’indagine sembra una parete mai vista. Impossibile da scalare. Come la coppia prova a spiegare nelle righe successive: «Stimando una media di sviluppo di 300 conversazioni mensili, la stima del tempo da impiegare per lo svolgimento dell’incarico si aggira intorno ai 1000 (mille) mesi». Più di ottant’anni. Con la prospettiva di chiudere la monumentale trascrizione intorno al 2092.
Si resta a bocca aperta davanti a queste considerazioni senza precedenti che chiariscono, meglio di tante analisi, tabelle e statistiche cosa siano diventate oggi le intercettazioni in Italia. I due malcapitati ammettono di «non essere in grado di assolvere l’incarico affidatoci» e propongono, davanti a questa valanga che rischia di seppellirli vivi, una via d’uscita. Che il pm, a quanto pare, individua in una draconiana scrematura delle conversazioni da portare a processo. Una supersforbiciata per evitare di rimanere impantanati in un’inchiesta lunga quasi come la guerra dei Cent’anni.
E rimane quella proporzione inquietante: trecentomila intercettazioni, se i consulenti non hanno sbagliato, per 51mila abitanti. Sei a testa. Neonati compresi. Siamo davvero alle cupe latitudini dell’Est europeo in epoca sovietica. E in una qualche scena di un film angosciante come Le vite degli altri.
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