L’intervento La lotta alla mafia non ha colore

CRIMINALITÀ Le divisioni politiche non devono far perdere di vista l’obiettivo comune

Da tempo mi batto per cambiare le modalità della comunicazione politica: vorrei renderla capace di approfondire gli argomenti e non limitarsi a un volo radente su ogni occasione di pubblicità mediatica. Certo, l’approfondimento è spesso accompagnato dalla scarsità di attenzione, mentre il chiasso superficiale scatena l’applauso e l’odio «un tanto al chilo». Se, però, crediamo davvero nella possibilità di migliorare questo Paese, l’opzione di un’informazione politica «verticale» che vada al reale contenuto delle cose, deve essere scelta senza indugio.
Un bell’esempio è stato l’incontro tra Davide Carlucci e chi vi scrive, lo scorso 16 novembre al Red Point Café di Rozzano. Stefano Zurlo, infatti, ha avuto l’idea di far commentare il libro di Carlucci, A Milano comanda la ’Ndrangheta, dall’autore e da me, uno dei bersagli preferiti del duo Carlucci-Caruso.
Se, in una prima fase, il dibattito si è focalizzato sulla descrizione di fatti che mi hanno visto protagonista e sulla mia puntuale contestazione su come venivano riportati cioè attraverso un’operazione di eliminazione di parte delle informazioni per far passare un quadro diverso da quello reale, successivamente ci siamo addentrati in un vero approfondimento culturale dell’anti-mafia.
È emerso in modo evidente che, al di là della polemica giornalistica, vi sono due diverse culture che reggono e definiscono i comportamenti della politica nei confronti della criminalità organizzata.
L’una considera l’esposizione mediatica del politico (o dello scrittore) come un mezzo utile per sollecitare la «coscienza civile»; l’altra da priorità ai contenuti e quindi al lavoro che viene svolto coordinandosi con magistratura e forze dell’ordine per reprimere le varie forme di infiltrazione mafiosa.
La mia assoluta convinzione è che l’esposizione mediatica vada a beneficio solo dei politici (o degli scrittori) che ne sono protagonisti, cosa che non è stata e non è condivisa da Carlucci che, al contrario, ritiene essenziali questo tipo di comportamenti (che lui ama definire «simboli»), nella lotta alla criminalità organizzata. Fin qui niente di nuovo, cose già dette. La vera novità emersa nella serata è stata un’altra: finalmente, e forse per la prima volta, si è partiti dalla reciproca convinzione della buona fede dell’altro. Questa è stata la rivoluzione copernicana.
Nei dibattiti a cui ho preso parte in precedenza, infatti, ci si ostinava a ritenere che le opinioni non condivise fossero, di fatto, punti a favore della criminalità. Da questo assunto scaturiva una lotta ideologica e una divisione dalla quale la mafia era ed è la sola a trarre vantaggio.
Pochi giorni fa, proprio a Buccinasco, abbiamo patrocinato (perché per noi la libertà di espressione è un valore assoluto) uno spettacolo scritto dal giornalista Gianni Barbacetto che è il tipico atto d’accusa acritico della sinistra verso la destra, l’usuale modo di dividere laddove sarebbe opportuno unire. Per di più, senza nemmeno riflettere sul fatto che erano ospitati da un’amministrazione di centro-destra, gli attivisti di Rifondazione Comunista, hanno distribuito un libercolo che spacciava teoremi tendenti a ipotizzare un fantasioso collegamento tra la mafia e il nostro governo della Lombardia.


Forse al Red Point Café, nel nostro poco e nel nostro piccolo, siamo arrivati a comprendere che l’obiettivo della lotta alla criminalità deve essere condiviso: le tattiche differenti che due diverse culture politiche mettono in atto non possono causare lacerazioni su quello che, almeno l’altra sera, è apparso un terreno comune.
*sindaco di Buccinasco

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