L’INTERVISTA FRANCO BATTIATO

A fine mese Franco Battiato partirà per una lunga tournée che lo porterà in giro per l'Italia fino a metà aprile. La prima data sarà il 31 gennaio a Carpi. Il suo ultimo disco, Fleurs 2, che segue Fleurs 3, completa una trilogia di brani pescati nel passato recente della musica leggera non solo italiana. Lo abbiamo intervistato sul rapporto tra musica e spiritualità e sulla possibile convivenza tra le diverse religioni.
Con l’ultimo suo disco «Fleurs 2», lei completa una trilogia di reinterpretazioni di canzoni del passato. Ritiene che le cose migliori siano già state scritte?
«Per niente. Comunque anche se non ne siamo coscienti, il passato è in noi. Recuperare e ridistribuire “il reddito” di certe vette musicali, può arricchire il nostro spesso incerto presente. Bisogna dividere la musica leggera dalla musica classica. Le vette dell’una sono diverse dalle altre. Delle montagnette e l’Everest. La musica leggera si dedica ai sentimenti. Ma ogni volta che ascolto dei grandi compositori del passato mi domando che cosa li abbia ispirati e ne prendo atto per l’oggi, non per ieri. Capolavoro è qualcosa che non ha tempo».
In «Fleurs 2» numerose canzoni manifestano un certo senso di impotenza, di incompiutezza anche dei rapporti più intimi. Mentre l’unico brano inedito s’intitola «Tutto l’universo obbedisce all'amore». Sembra una contraddizione…
«Succede a volte, che una canzone sembra che parli alla testa, ma invece tocca il cuore. Ci sono brani che muovono la compassione delle persone. Anche in passato ho scritto delle canzoni che sembravano semplici e orecchiabili come Centro di gravità permanente, invece affrontavano temi profondi che restavano scolpiti nel cuore di chi le ascoltava».
Tutto l'universo obbedisce all’amore è un’affermazione lontanissima da ciò che abbiamo sotto gli occhi nella nostra quotidianità. È una visione che si deve a una dimensione mistica, spirituale?
«Il mondo è un coacervo, un ammasso di materiale eterogeneo. Sono per natura un metafisico, e resto fermo e saldo nel mio genere. Considero la vita, che trovo meravigliosa, una palestra per farsi i “muscoli” e se ce la si fa, per cambiare e migliorare».
Che rapporto c’è tra la sua musica e la spiritualità?
«Un rapporto inscindibile».
Come si svolge la sua collaborazione con Manlio Sgalambro? Come nascono i testi delle canzoni?
«Per esempio, parliamo di Tutto l’universo obbedisce all'amore che è una frase di La Fontaine, ma potrebbe essere anche un pensiero biblico. Lavoriamo a distanza: io gli ho scritto che volevo fare una canzone partendo da lì. Lui mi ha risposto suggerendo versi come “ed è in certi sguardi che si vede l'infinito”, io ho aggiunto altri brani. Oppure, per La cura: io ho scritto la prima parte del testo, lui mi ha risposto con “Vagavo per i campi del Tennessee... ”. Non abbiamo mai discusso sui vocaboli. Lui sa bene che il musicista deve smerigliare il testo sulle note... ».
Sulla copertina dell'ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco «Cabaret Voltaire» è riportato un verso tratto dalla sua «Il re del mondo» che dice: «Il giorno della fine non ti servirà l'inglese». È solo un messaggio no global o vuole esortare a coltivare le cose che contano?
«La seconda. I monaci tibetani hanno la sana abitudine la sera, prima di andare a dormire, di rovesciare la loro ciotola, a significare che potrebbe essere l'ultima. Il distacco, la consapevolezza che siamo di passaggio, non è che renda più tristi... Anzi».
A proposito di «Re del mondo» che cosa pensa dell’avvento di Obama alla presidenza degli Stati Uniti?
«Parla bene, come nessun presidente ha mai fatto. Spero che mantenga la sua posizione. Vedo che sta trascinando tanti in una specie di grande sogno. Ci speriamo tutti, visto che l’America ha determinato le sorti di questo pianeta da decenni».
Buttafuoco è catanese come lei, Carmen Consoli e Juri Camisasca che compaiono anche nel suo ultimo disco. C’è un clan, artistico, dei catanesi?
«Juri Camisasca è lombardo, anche se dopo dodici anni vissuti in un monastero benedettino, ha scelto di vivere alle pendici dell'Etna. Buttafuoco e Carmen sono due “raggianti” catanesi. Siamo amici e collaboriamo».
Nell’ultima loro tournée gli U2 facevano comparire sui megaschermi la scritta «coexist», composta dai simboli delle tre grandi religioni: lo spicchio di luna per la religione islamica, la stella di David e la croce di Cristo. Su che basi è possibile il dialogo e una convivenza tra le diverse religioni?
«Chi se ne intende, sa bene che tra veri credenti, la convivenza tra le diverse religioni sarebbe la cosa più semplice e naturale del mondo. Purtroppo esistono, e sono tanti, gli “infiltrati”. Il signor Bush crede in un dio della guerra, che ha generato morte e distruzione. I talebani, Bin Laden, Hamas sono “infiltrati”. Mi dispiace essere estremo, ma molti religiosi che credono di pregare, sono come gli “ultras”, esercitano solo violenza e col calcio o con la religione non hanno niente a che vedere».
Lei ha sempre manifestato sensibilità per l’Islam e la meditazione orientale. Non ha trovato inquietanti le recenti manifestazioni di protesta delle comunità islamiche sul sagrato del Duomo di Milano e di Bologna?
«Certo: sono situazioni non accettabili, irrispettose non solo per i fedeli cristiani, ma persino per dei laici o non credenti che non vogliono trovarsi in un contesto così. Come quei proclami di ateismo scritti sulle fiancate degli autobus: è sbagliato, non va fatto, è irrispettoso. Ma non me la sento di sparare condanne.

Anzi, credo si tratti di persone verso le quali bisogna provare pietà. Ma sono altrettanto convinto che i violenti non possono essere religiosi, è una contraddizione in termini. Il fanatismo non ha niente a che vedere con la religiosità».

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