L’INTERVISTA PAOLO VILLAGGIO

L’ex Fantozzi Paolo Villaggio torna nella «sua» Milano sul palcoscenico dei «Ragazzi terribili», un ciclo che al Franco Parenti porta in scena veterani doc come Glauco Mauri, Giorgio Albertazzi, Paolo Poli e Adriana Asti. «Sua» si fa per dire, perchè gli anni d’oro passati sul palco del Derby con Cochi e Renato o ai tavolini del bar Jamaica, ormai sono preistoria. «Qua non torno quasi mai, e quando ci torno l’unico posto che mi interessa è il negozio di gastronomia Peck».
Ma come, non è perennemente a dieta? Ha pure scritto un manuale intitolato «Sette grammi in settant’anni»...
«Mica ho detto che vado a strafocarmi. Vado da Peck come in visita alla Mecca, saluto i commessi in divisa, chiacchiero col proprietario che è un vecchio amico, e poi mi fermo ad ammirare incantato quelle opere d’arte...»
Via, ci viene anche per lavoro, Milano è piena di teatri, e di case editrici.
«Lasci stare il teatro che in Italia è morto e sepolto. Non c’è più un drammaturgo e i giovani preferiscono X-Factor e Vasco Rossi. Ormai nelle sale trovi solo vecchie vedove...»
Ma non dica così. Milano culturalmente è in ripresa e gli spettatori qui da noi aumentano.
«Se lo dice lei, ma a me Milano pare lontana anni luce da Londra o Parigi e anche dagli anni Settanta quando la gente leggeva e la cultura non era ancora schiacciata nella morsa della televisione. Ma forse sono solo un vecchio pessimista, sa, allora avevo trent’anni».
No scusi, lei è ancora sulla breccia, scrive libri e recita. Oggi porta sul palco un monologo sul Profumo delle lucciole
«Appunto, un melenso tributo alla nostalgia, ideale per le vecchie vedove. Racconto quanto si stava bene nei romantici anni Cinquanta, quando al posto dello smog c’erano i profumi, le lucciole brillavano di notte e si parlava di libri invece che addormentarsi col telecomando in mano».
Comunque fare l’attore continua a piacerle
«Ma quando mai, io non ho mai saputo recitare in vita mia e devo tutto il mio successo a un inconveniente»
Quale?
«Nel ’75, dopo l’uscita del mio libro Fantozzi, non si riusciva a trovare un interprete del ragioniere perchè Ugo Tognazzi era appena reduce dalle riprese de La grande abbuffata e Renato Pozzetto era alle prese di Per amare Ofelia. Allora Salce disse: Provaci tu»
Ma non mi prenda in giro. Lei ha vinto nel ’90 un David di Donatello con Fellini e nel ’92 ha avuto il Leone d’oro alla carriera. Mica li danno così...
«E invece sì. I premi nel cinema si ottengono anche soltanto perchè sei al culmine del successo ma magari non hai talento. Proprio come è successo a me».
Vabbè. E allora Strehler che le diede la parte di Arpagone nell’Avaro di Moliere, era scemo anche lui?
«Quello resta un caso anomalo, anche perchè Strehler non ha mai amato gli attori e trattava tutti a frustate. Un bel giorno, durante i provini fermò tutti e mi disse: “Paolo, Arpagone lo farai tu“. Straordinario. Poi però non mi degnò più di uno sguardo nè di un suggerimento»
Ma allora perchè continua a recitare, come oggi?
«Non si può sempre dire di no»
Lei ama essere considerato uno scrittore e del resto ha pubblicato decine di libri. La gente però ama ricordarla nei panni del ragioniere sfigato. Le dispiace?
«Certo che no. Sarebbe come se a Charlie Chaplin dispiacesse essere ricordato nel ruolo di Charlot. A Fantozzi devo tutto il mio successo».
Oggi proporrebbe ancora quel personaggio?
«No perchè i tempi sono cambiati, in peggio. In fondo il ragionier Fantozzi, che incarnava la mediocrità della middle class, era integrato in una realtà fatta di modelli consumistici e si accontentava di quel poco che riusciva ad afferrare. Oggi i giovani, storditi dai modelli televisivi che ostentano ricchezza facile e veline scosciate, hanno il terrore della mediocrità e fuggono dalla realtà. Ma hanno problemi enormi.

Il ragioniere aveva una ridicola famigliola che portava con dignità sulla sua bianchina. Questi stanno a casa coi genitori fino a 35 anni».
E allora il Fantozzi di oggi come lo dipingerebbe?
«Come un eterno bamboccione, coi jeans strappati, l’orecchino e i tatuaggi. Insomma un vero idiota».

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