L'apocalisse tra cinema e filosofia

Il libro «Icone della fine» fa luce su uno degli argomenti più sconcertanti e al tempo stesso più temuti dall'uomo: il momento della morte, così come i registi hanno cercato di immortalarlo nei loro film

L'argomento è di quelli che normalmente tendono a scoraggiare. E allontanano. Perché la fine, intesa come il termine della vita, la conclusione di una vicenda terrena, l'epilogo insomma, rappresenta l'istante che l'uomo rifiuta. Per sé e per quanti gli sono legati. Per le cose che gli appartengono. Per i ricordi che ne compongono il bagaglio. E si sforza di respingerne il pensiero con tutto ciò che gli è annesso. Tuttavia, da sempre si interroga sul valore della fine e da un secolo a oggi tenta perfino di rappresentarla. Da un secolo. Da quando, approssimativamente, è nata la settima arte. Il cinema.
Così il tempo è diventato uno dei protagonisti. Ma, nello stesso istante, anche l'oggetto dell'indagine. Il tempo che scorre. L'inizio e la fine. Come in un cerchio che tiene i suoi estremi, fino a confondere l'uno e l'altra. E quando ha potuto manipolare l'immagine ha subito tentato di metterla in scena. «Icone della fine» (Il Mulino, pp. 218, 16 euro) è la rilettura di questo tentativo. La storia di uno sforzo in una prospettiva storica, interpretato però alla luce delle riflessioni filosofiche che, nel corso dei secoli, hanno spinto moltissimi pensatori a dare una propria spiegazione dello scorrere del tempo e delle vite, indagando proprio sull'epilogo dell'esistenza umana.
Andrea Tagliapietra, docente di Storia della filosofia e di Storia delle idee al San Raffaele di Milano, si muove in questo ambito, ricavandone un libro di assoluto pregio che aiuta a comprendere i significati più profondi di opere tanto celebri quanto spesso guardate e liquidate, in un giudizio complessivo, con occhio eccessivamente distaccato e superficiale. «Icone della fine» è un volume irrinunciabile per chi si occupa di cinema a scopo professionale o amatoriale o come passatempo, ma rappresenta un testo cardine anche nell'ambito di una cultura generale che spesso rifugge i temi più scomodi per conferire alla lettura un aspetto soltanto rilassante.
Lo storico della filosofia e del cinema, come del resto lo spettatore qualunque volenteroso di carpire segreti e significati dell'opera filmica, vi troverà un excursus interessantissimo su segmenti di cinematografia passati massicciamente sotto i nostri occhi e indagati con l'acutezza di chi non si accontenta di scandagliare solo la superficialità della materia. Dall'apocalisse alla riflessione dello scorrere del tempo fino al modo di percepire la fine, Tagliapietra squarcia quel filone che, spesso affrettatamente, viene liquidato come il cinema catastrofista. Ciò non impone la rinuncia a ricordare capolavori della celluloide come «2001 odissea nello spazio», «Titanic» o «Apocalypse now». Tre modi diversi di interpretare la fine. Modi diversi di cogliere il tempo, come l'antesignano «Arrivée d'un train a la gare en la ciotat», o al famosissimo «The day after». Da «Dracula» a zombi e vampiri, fra gli artigli dei quali si materializza la fine di uno scorcio di umanità. Perché l'immagine dell'estremo è spesso connesso con le figure del male, tra Giuda e anticristi, tra demoni e creature del fantastico che tendono a preludere a una fine individuale, al contrario di un'importante tranche di opere dedicate alla catastrofe della collettività. Una sorta di fine del mondo che assume contorni diversi, irreali quanto talvolta esasperati.

Forzatura di bibliche interpretazioni a dimostrare che, nonostante l'argomento scotti, l'uomo si pone il problema della fine e vuole perfino fissarlo nelle immagini con la conseguenza - inevitabile - di alimentare una serie, forse infinita, di contraddizioni.

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