
da Venezia
«Che dici? Meglio definire questa Biennale come un super organismo che contiene tanti progetti che naturalmente si ossigenano o come una reazione a catena che fa detonare un progetto dopo l'altro?», mi chiede Carlo Ratti archistar e direttore-iperattivo di questa 19esima Biennale Architettura dal titolo Intelligens, Natural. Artificial. Collective (apre sabato, si visita fino al 23 novembre). Propendiamo per la reazione-a-catena, ché questa mostra alle Corderie dell'Arsenale e poi diffusa in diversi spazi dei Giardini e nei sestieri veneziani (il tradizionale Padiglione Centrale è in restauro e non se n'è sentita per nulla la mancanza) è sorprendente. Ratti ieri si muoveva con la falcata ampia e sicura di chi questi enormi spazi li ha percorsi a lungo in questi mesi di gestazione. «La sfida più grande? Il laboratorio che ha sostenuto il progetto: per la prima volta nella Biennale Architettura, la mostra ha coinvolto 750 partecipanti e non parlo solo di architetti e di ingegneri, ma anche matematici, scienziati del clima, filosofi, artisti, programmatori e agricoltori». Questa è una Biennale Architettura densa, intensa eppure comprensibile. Un mezzo miracolo. «Hai visto? Ratti mi indica uno dei tanti pannelli che punteggiano lo spazio Ho dovuto impuntarmi per ottenerli, ma alla fine funzionano. Ogni progetto è accompagnato da un'ampia didascalia che spiega nel dettaglio il senso di quanto esposto, corredato da un riassunto fatto con l'AI, che in cinque righe ci fa il bigino. Si può fare come nella scena del film di Godard, in cui si visita il Louvre correndo in dieci minuti, oppure metterci un giorno intero».
Abbiamo optato per una via di mezzo: la mostra centrale cattura, si fatica a uscirne. All'inizio, a dire il vero, toglie letteralmente il fiato. Fa caldo, caldissimo: si esplorano siamo nella sezione Natural Intelligence gli effetti del cambiamento climatico attraverso inondazioni artificiali e vortici di aria rovente (progetto di Sonia Seneviratne e David Bresch, con la Fondazione Cittadellarte Onlus di Michelangelo Pistoletto e Transsolar). E poi ancora, tra le installazioni di maggior impatto visivo (chè questa, oltre che di sostanza, è una Biennale bella, esteticamente riuscita) The Other Side of the Hill, che ragiona sull'impatto del declino demografico sul consumo di risorse con il design di Patricia Urquiola. Poi si approda all'Intelligenza Artificiale dove non mancano i robottini vaganti. Il progetto più affascinante arriva dal Giappone: Living Structure, di Kengo Kuma e i ricercatori dell'Università di Tokyo, esplora l'uso dell'Ai per trasformare il legno. «Ogni spazio della mostra è modulare e frattale», dice Ratti. Tradotto: progetti di piccola e media scala si prendono per mano. Si va dalla ricerca di materiali innovativi (incluso lo sterco di elefante con cui costruire un suggestivo tunnel) all'analisi accurata di Aldo Cibic su Venezia che finalmente si prende la scena. Questa Biennale non ha paura di esporsi: in mostra anche un reattore nucleare di quarta generazione, raffreddato a piombo liquido (progetto impressionante di Newcleo, Pininfarina e Fincantieri). Il momento più poetico? La sezione Out, alla fine: l'abbiamo visitata con Carlo Ratti ad occhi chiusi, immersi nelle sonorità create dal visionario compositore Jean-Michel Jarre in collaborazione con Maria Grazia Mattei, pioniera dell'arte digitale in Italia. Usciamo dalle corderie e incrociamo lo sguardo soddisfatto del presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco: «Ratti, allievo del grande Italo Rota (cui è stato attribuito il Leone d'Oro alla memoria, ndr), è un punto di riferimento intellettuale e questa mostra propone delle geo-strategie per ragionare sul futuro».
Ci avviamo alle Tese delle Vergini, dove ha sede come da tradizione il Padiglione Italia. Lo ha curato con passione viscerale l'architetta romana Guendalina Salimei, che una decina di anni fa, per il suo progetto di riqualificazione del quartiere romano del Corviale, ispirò il film Scusate se esisto! con Paola Cortellesi. Promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura Terrae Aquae. L'Italia e l'intelligenza del mare lancia una sfida (necessaria, pratica): il Bel Paese ha 8300 km di coste («lunga strada di sabbia» diceva Pasolini) da ripensare. Per guardare l'Italia dal mare, rivalutando porti, fari, approdi, litorali, Salimei ha raccolto, dopo una open-call riuscitissima, qualcosa come 600 contributi (da architetti, ingegneri, enti locali, semplici cittadini).
Gli esiti li vediamo scanditi nel Censimento sul presente che apre il padiglione. «Siamo un Paese in cui si è già costruito tanto: ora dobbiamo ricucire, riaggiustare, riadattare, risanare e ripensare il nostro ambiente. Noi architetti dobbiamo essere i medici del territorio su cui agiamo», mi dice Salimei mentre saliamo sul cosiddetto pontile della ricerca che regala uno sguardo inedito sugli spazi del padiglione. Ospita tavoli con monitor su cui guardare i video che raccolgono gli esiti delle ricerche di università, enti e fondazioni e un teatro (una chicca) su cui sono proiettati filmati selezionati dall'Istituto Luce. Alle pareti, l'intensa narrazione fotografica di Luigi Filetici e incursioni artistiche di Thomas De Falco e Agnes Questionmark (di cui vediamo i lavori per il Parco Internazionale di Scultura di Villa Fürstenberg, realizzati grazie a Banca Ifis), mentre la libanese Marya Kazoun ragiona sulla fragilità degli ecosistemi con una installazione di pezzi di ghiaccio e vetro e Alfredo Pirri propone i suoi specchi franti.
Ci sediamo nel Giardino su una delle casse-arche («l'approdo di Ulisse», commenta Salimei) e nelle orecchie abbiamo ancora la colonna sonora del padiglione, uno sciabordio ipnotico ideato da David Monacchi. Che bel viaggio, questa Biennale.
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