«Lasceremo solo se il popolo non ci segue»

Lobsang Tenzin, premier del governo tibetano in esilio: «Non appoggeremo proteste cruente»

«Un Dalai Lama si dimette soltanto se il suo popolo non segue più le sue parole, le risposte di sua santità sono state mal riportate». Per Lobsang Tenzin, 69enne primo ministro del governo tibetano in esilio, le paure di chi teme un addio del Dalai Lama sono solo una pessima interpretazione del suo pensiero. Chiamato anche venerabile professor Samdhong Rinpoche numero 5, da quando, a cinque anni, venne riconosciuto come la quinta reincarnazione di un antico saggio tibetano, Tenzin è uno dei più fedeli collaboratori del Dalai Lama. Educato in quel tempio di Drepung da cui sono emersi gli animatori della protesta di Lhasa, Lobsang Tenzin abbandonò il Tibet per sfuggire alla repressione cinese del 1959. Da allora vive nella città indiana di Dharamsala dove, quattro anni fa, è stato eletto primo ministro del governo tibetano in esilio. «Sua santità - spiega Tenzin - ha risposto a chi gli chiedeva se di fronte ad una protesta violenta è pronto a dimettersi ed ha ripetuto che se ne andrà soltanto se la maggioranza dei tibetani adotterà la violenza».
A Lhasa la violenza c’è stata...
«Sono scesi in piazza ed hanno agito spinti da un’occupazione spietata che non permette alcuna libertà d’espressione. Noi però non possiamo appoggiare nessuna azione violenta. Sua santità resta assolutamente fedele ai principi della non violenza e il governo in esilio lo segue. Non appena la maggioranza del popolo rinnegherà questa linea ce ne andremo, ma per ora non sta succedendo».
Chiede di continuare la protesta o di smetterla?
«Cancellare il diritto d’espressione d’un popolo è una delle più crudeli violazioni dei diritti umani: non posso certo incoraggiare chi vuole privare i tibetani di questo diritto basilare. Io però sono lontano... non sono in grado di parlare con loro e non posso aiutarli, quindi non posso neppure impartire consigli o ordini. Solo loro possono decidere il da farsi».
Rinunciando al boicottaggio delle Olimpiadi, non temete di perdere consensi.
«Grazie alle Olimpiadi la nazione più popolata del mondo si troverà esposta agli insegnamenti del mondo libero e della democrazia. Partecipando, il mondo libero aiuterà i cinesi a esigere democrazia, libertà d’espressione, trasparenza. Per sua santità il boicottaggio non genererà nulla di positivo, giustificherà soltanto repressione ed autoritarismo facendo finire molta gente in prigione».
Voi sostenete il dialogo, ma Pechino sbatte in galera i vostri militanti e vi accusa di ordire linciaggi e disordini
«Quanto è successo è stata la risposta spontanea a 50 anni di dominazione e non ha nulla a che fare con sua santità. Lui non ha incoraggiato le dimostrazioni, si batte solo per il dialogo politico e la difesa della nostra cultura.

Siamo troppo lontani per pianificare alcunché, ma se i cinesi sono convinti di quanto affermano possono seguire l’invito di sua santità e permettere alle istituzioni internazionali di andare in Tibet e aprire un’inchiesta.

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