Il lato oscuro del pensiero magico

La dea della letteratura americana del secondo Novecento, plasmatasi nell'argilla del New Journalism e di Ernest Hemingway, capace di passare da Vogue alla politica con immutata efficacia e autorevolezza

Il lato oscuro del pensiero magico
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Fa quasi tenerezza immaginarsela. Esile, elegante, ancora bellissima. La dea della letteratura americana del secondo Novecento, plasmatasi nell'argilla del New Journalism e di Ernest Hemingway, capace di passare da Vogue alla politica con immutata efficacia e autorevolezza. Eppure, fragile. Eccola lì, Joan Didion, che a sessantacinque anni entra nello studio newyorchese di Roger MacKinnon, un luminare della psichiatria, per mettersi a nudo, come non ha ancora mai fatto nonostante scriva da decenni.

Il fatto è che, in quel finire del 1999, il rapporto con la figlia Quintana è complicato e la ragazza ha confidato al suo, di terapeuta, che la madre è depressa e avrebbe bisogno di farsi seguire. E così Didion tenta anche questo, perché per i figli si prova molto oltre qualsiasi cosa, e ancor più se la figlia è adottata, come Quintana, perché «come tutti i figli adottivi vivono nel terrore di essere ridati via, tutti i genitori adottivi vivono nel terrore che il figlio gli venga tolto». E, se questa paura viene messa da parte, come avviene con tutte le paure che mettiamo da parte, poi tornerà e, senza avvertirci, inizierà a incrinare le nostre difese, perfino quelle meglio costruite. Questo è ciò che lo psichiatra dice a Didion e che oggi noi possiamo leggere, perché lei affida alla scrittura questa esperienza, attraverso delle note indirizzate al marito, lo scrittore John Gregory Dunne, pubblicate postume come Diario per John (come sempre, ilSaggiatore). Questo «diario», che copre circa tre anni ma è quasi tutto concentrato nel 2000, è stato ritrovato in una cartellina dopo la morte della scrittrice, il 23 dicembre 2021. L'Archivio Didion-Dunne è stato donato alla New York Public Library dagli eredi senza restrizioni e perciò queste pagine sono state considerate pubblicabili (anche se sui quotidiani americani la decisione ha suscitato qualche polemica).

Didion era già stata da un terapeuta durante l'università, quando viveva ancora in California (era nata a Sacramento nel 1934), ma l'esperienza con MacKinnon è di tutt'altra portata: «Credo mi abbia reso molto più aperta di quanto non fossi mai stata» scrive a un'amica nel 2001. E soprattutto si intreccia con il suo lavoro, innanzitutto per la forma scritta in cui la traduce; poi per il suo rivolgersi al marito, con cui la simbiosi, anche professionale, è sempre stata totale (L'anno del pensiero magico, il suo libro più celebre, racconta la morte improvvisa di John nel 2003); per lo stile, asciutto e profondo, il corrispettivo di una lucidità di pensiero che si ritrova nelle sue opere come nei dialoghi con lo psichiatra; per eventi ed emozioni che sono per esempio in L'anno del pensiero magico, in Blue Nights (il libro dedicato alla morte della figlia Quintana, nel 2005) o in Da dove vengo.

E poi per quel «pensiero magico», quel senso di premonizione del peggio, che Didion svela sul lettino dello psichiatra, sottopone a scandaglio e mette nero su bianco, insieme al rapporto con i propri genitori, con il mito americano, con il marito e la figlia, e poi al modo in cui è cresciuta, all'alcolismo di Quintana, al senso di colpa, alla resistenza al chiedere aiuto, alla sensazione di sbagliare sempre (qualcosa che tutti i genitori comprendono benissimo).

Queste pagine sono l'altra faccia della penna di Joan Didion: il lato più oscuro di un pensiero luminoso e illuminante, perché capace di calarsi nell'abisso.

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