"Il lavoro nero è in mano alle coop"

Ricerca presentata a Scienze politiche. Più di 180mila i lavoratori «fantasma» che ogni giorno prendono servizio in magazzini, imprese di pulizie, cantieri e ospedali L’autore del dossier: il 90% è gestito da cooperative. Sono pagati da 6 a 12 euro l’ora e senza di loro Milano rischia di fermarsi

"Il lavoro nero è in mano alle coop"

Non chiamatelo «lavoro sommerso». Non consideratelo il «comportamento astuto di imprenditori spregiudicati per incrementare il proprio profitto». Non è così: «Il lavoro nero è strutturale, promosso e tollerato, nelle metropoli italiane molti uomini formatisi nelle strutture sindacali sono protagonisti attivi del mercato delle braccia; le cooperative fittizie di lavoro sono il miglior volano di lavoro sommerso, inviando presso le imprese migliaia di italiani e stranieri». La tesi per nulla provocatoria, ma sostenuta dai dati è del giuslavorista milanese Giovanni Giovannelli, trent'anni di esperienza professionale come avvocato in Diritto del lavoro. Sarà presentata questa sera alla facoltà di Scienze politiche in un incontro dal titolo «Economia nera e criminale a Milano». I dati: nel capoluogo lombardo 180mila lavoratori sono in nero. Un numero esorbitante. Che nella ricerca del giuslavorista acquista la sua effettiva e concreta dimensione: «Diciamo che se, per assurdo, tutti i lavoratori in nero di Milano decidessero di scioperare la città si bloccherebbe. Non troveremmo pasti caldi nelle mense, gli ospedali sarebbero sporchi, gli scaffali dei supermercati immediatamente vuoti». E non sarebbero neppure precettabili perché «chi può precettare un fantasma?». La ricerca contenuta anche nel suo libro di prossima pubblicazione titolato «Sulla democrazia criminale» prende in considerazione cause e origini del lavoro sommerso. Quando si parla di lavoro nero a Milano non si deve pensare al senegalese sfruttato a 3 euro l'ora che dice Giovannelli «può fare effetto, ma è un aspetto marginale di questa realtà». La realtà è fatta invece di una rete ben strutturata formata perlopiù da «cooperative create ad hoc per fornire braccia e manodopera clandestina in nero all'industria e alle società di servizi». La stima è che circa il 90 per cento di questi lavoratori siano gestiti appunto da coop che riescono a destreggiarsi grazie a un sistema legislativo favorevole. Il comparto dove i lavoratori in nero hanno trovato maggiore collocazione - si legge nella relazione - è quello della logistica: magazzini, stoccaggio, il carico e lo scarico della merce, dietro alle vetrine dei supermercati e dei grandi centri commerciali prestano la loro opera quotidiana «centinaia di lavoratori in nero». Al secondo posto troviamo i servizi alla persona: mense e pulizie effettuate peraltro spesso in istituzioni pubbliche tipo gli ospedali. Mentre al terzo posto c'è l'edilizia con muratori e manodopera soprattutto clandestina. E veniamo ai compensi. «La forbice retributiva è piuttosto ampia - spiega Giovannelli - si va dai 6 ai 12 euro l'ora. Se consideriamo che il minimo netto a sei euro sarebbe quasi otto lordo si può ben vedere che anche il meno pagato dei lavoratori in nero non prende poi uno stipendio tanto diverso da un lavoratore con contratto collettivo nazionale». Eppure loro, precari per eccellenza, precari non si sentono. «Il precario è qualcuno che aspira al lavoro fisso - dice il giuslavorista -.

Ora non dico che chi lavora in nero non aspiri ad altro, ma spesso è la scelta del lavoratore che nell'immediato ha evitato qualche balzello e del datore che riduce i costi e conserva il controllo sociale. Entrambi mettono in circolazione denaro nero che obbliga a investimenti neri per forza di cose legati a un poco virtuoso ciclo nero».

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